12 ottobre 2022   Articoli

Il voto al Sud – Un disorientamento che chiede risposte

Claudio De Vincenti - Corriere del Mezzogiorno

Claudio De Vincenti - Economista - Promotore del Manifesto

Disincanto e riflesso autodifensivo: i risultati delle recenti elezioni politiche al Sud segnalano un malessere profondo della società meridionale, su cui è doveroso riflettere senza ricette preconfezionate. E’ quanto stanno facendo – a partire dalla lucida analisi con cui Enzo D’Errico ha aperto il dibattito all’indomani del responso delle urne – diversi interventi ospitati in questi giorni sulle pagine del Corriere del Mezzogiorno.

Partiamo dai dati. Con la sola eccezione dell’Abruzzo, dove la percentuale di astensionismo e l’esito del voto si avvicinano alla media nazionale, in tutte le Regioni del Sud si osserva un’area del non voto molto più alta di quella, pure significativa, del resto del Paese e, nell’esito del voto, una limitata prevalenza dei 5 Stelle, su percentuali però molto inferiori a quelle del 2018, rispetto a Fratelli d’Italia.

L’astensionismo oscilla intorno al 45%, con un minimo del 41 in Basilicata e un massimo del 49 in Calabria (e nell’area napoletana). I 5 Stelle dimezzano i loro voti ma restano seppur di poco il primo partito, tallonati da Fratelli d’Italia che aumentano i consensi: un risultato singolare, come ha osservato Giuseppe Coco, che ha premiato a un tempo i difensori del reddito di cittadinanza e “l’unica forza che ha criticato aspramente e promesso una radicale riforma del reddito”. Il Centro-Destra nel suo insieme sopravanza significativamente i 5 Stelle, con l’eccezione della Campania, mentre il Centro-Sinistra resta alle loro spalle, con la sola eccezione della Sardegna. Il Terzo Polo ottiene un risultato inferiore alla media nazionale, salvo che in Basilicata.

In sintesi, al di là del successo del Centro-Destra di poco inferiore al risultato nazionale, colpiscono tre aspetti che caratterizzano il voto meridionale: l’astensionismo elevato, tra il 40 e il 50% dell’elettorato; la sopravvivenza seppure in forte caduta del Movimento 5 Stelle; la maggiore profondità della crisi del Centro-Sinistra.

Di fronte a questi dati, Marco Demarco ha segnalato i pericoli che possono derivare per il Mezzogiorno e per il Paese da una contrapposizione tra “un Sud ‘contro’ e un Centro-Nord inevitabilmente ‘per’”, tra un Sud che “ha votato per difendere una ‘posizione’ … in un quadro di crescenti diseguaglianze territoriali” e un Centro-Nord che “ha votato per indicare una ‘direzione’, un senso di marcia”. Francesco Marone ha sottolineato il vuoto di fronte a cui si trova l’elettorato meridionale, tra l’asfissia di “un notabilato politico immutabile”, ma non più alimentato da “una spesa pubblica senza controllo”, e l’esaurirsi dell’illusione disperata rappresentata dal “nuovo assistenzialismo” di massa: “il popolo del Sud Italia ha smesso di andare a votare, non credendo evidentemente più a niente e a nessuno”. E Claudio Scamardella ha parlato di “un ulteriore avvitamento del circolo vizioso tra società disgregata e disordine politico”, concludendo che “al Sud si vince anche senza una strategia e una visione per il futuro del territorio” mentre “al Nord non si vince se non si risponde … alle domande, contingenti e di prospettiva, di un blocco sociale” che resta coeso e “portatore di idee forza di larga condivisione”.

Sono considerazioni che colgono il disorientamento profondo che percorre la società meridionale e il rischio di un Mezzogiorno alla deriva tra disincanto e ribellismo, in assenza di un collante profondo come quello di cui parla Scamardella.

Se proviamo a guardare la composizione del blocco sociale presente nel Centro-Nord, vi troviamo imprenditori grandi e piccoli di industria, agricoltura e servizi avanzati, lavoratori dipendenti di quelle stesse imprese, professionisti, artigiani, commercianti, operatori del turismo. In sintesi, un blocco sociale che ruota intorno ai ceti produttivi, quello che è stato anche chiamato, con una espressione un po’ semplificatrice ma efficace, il partito del PIL. Però non è solo questo: intorno alla tensione verso produzione e crescita hanno potuto trovare in molti casi collocazione anche altre istanze, più ampie e comprensive, aventi a che fare con il sistema del welfare, la qualità dei servizi sociali alla popolazione, dai nidi alla scuola alla sanità. In altri termini, non abbiamo a che fare solo con il partito del PIL ma anche con un più inclusivo partito del BES, il Benessere Equo e Solidale.

Il terreno di gioco su cui si confrontano le forze politiche al Centro-Nord sta nel modo in cui PIL e BES vengono declinati: il primo è il nocciolo duro e indispensabile del secondo, ma di per sé non esaurisce la visione e gli obiettivi di una società avanzata.

E’ possibile costruire un analogo blocco sociale al Sud? Sappiamo che la base produttiva è più ristretta – a fronte del 34% di popolazione, il PIL meridionale è il 22% di quello nazionale e il tasso di occupazione è di venti punti più basso che al Nord – e con una composizione settoriale che vede una quota dell’industria di 10 punti inferiore rispetto al Centro-Nord e, nei servizi, un peso molto maggiore dell’impiego pubblico. Ma sappiamo anche che vi sono diffuse realtà di eccellenza nell’industria e nei servizi e che è in atto da qualche anno una importante dinamica degli investimenti delle imprese e della loro capacità di penetrazione sui mercati. Così come sappiamo che vi sono tante forze dell’associazionismo e del Terzo Settore impegnate nella cura delle persone, nei servizi sociali, nella crescita culturale.

E’ probabile che queste realtà produttive e sociali siano oggi minoritarie, ma il compito della politica e di tutte le persone “di buona volontà” – perché un blocco sociale si forma nell’interazione virtuosa tra politica e società civile – è di partire da qui per portare queste forze del PIL e del BES a fare sistema. Servono investimenti pubblici che colmino i vuoti della rete infrastrutturale e di servizi, servono incentivi rivolti alle imprese che investono e innovano, serve una lotta alla povertà basata su servizi di reinserimento sociale, servono pubbliche amministrazioni efficienti.

Serve che la politica nazionale, invece di puntare su mediocri compromessi con vecchi e nuovi notabili o forme aggiornate di assistenzialismo, sappia rivolgersi alle forze vive della società civile meridionale per fare del Mezzogiorno una componente indispensabile dello sviluppo italiano.

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