BLOCCO LICENZIAMENTI/ “Dai sindacati nessuna richiesta da Soviet”
Angelo Colombini - Il Sussidiario.net
Blocco dei licenziamenti. Letto in modo superficiale sembra una richiesta dei Soviet. La realtà è però più complessa come lo sono le richieste del sindacato, che partono da un semplice presupposto: in un momento di fortissima incertezza non si può far intravedere alle persone una sorta di Spada di Damocle, aumentando ulteriormente l’incertezza. Il rischio di approfondire la crisi sociale oltre che quella economica sarebbe altissimo.
Purtroppo i dati ci dicono che dallo scorso lockdown sono stati già circa 700.000 i posti di lavoro persi, perché non sono stati rinnovati molti contratti a termine e quelli in somministrazione. Formalmente questi lavoratori non sono stati licenziati, tuttavia hanno già perso il lavoro. A questi vanno aggiunte tutte quelle situazioni di sottoccupazione. È sotto gli occhi di tutti la continua chiusura o riduzione delle attività di tanti piccoli esercizi commerciali, a cominciare dal settore della ristorazione, da cui stanno fuoriuscendo purtroppo moltissime persone. Per non parlare della situazione che stanno vivendo molti lavoratori delle pulizie alberghiere, dipendenti spesso da pseudo cooperative, che di fatto vengono pagati a cottimo e con gli alberghi chiusi sono mesi che non prendono un regolare salario.
Il sindacato e la Cisl in particolare, però, oltre alla proroga degli ammortizzatori sociali chiede che si avvii finalmente una loro riforma generale, rendendoli universali e in contemporanea avviando serie politiche attive del lavoro per favorire l’accompagnamento delle persone verso nuove professioni e nuovi lavori. È fondamentale fare in modo che le lavoratrici e i lavoratori rimangano legati alla propria impresa e se debbono uscirne lo facciano attraverso un percorso di orientamento, accompagnamento, formazione.
Questo è importante per le stesse imprese che se, come declamano, hanno investito sulle risorse umane, butterebbero a mare anni di lavoro. Certo non si può scaricare tutto sulle imprese, ma non si può neanche dimenticare che la Cassa integrazione è pagata anche con i soldi dei lavoratori, che chiedono di usufruirne in caso di necessità come ora.
C’è da chiedersi, se non ora quando, per l’avvio delle politiche attive? L’esperienza dei Navigator si è rivelata fallimentare perché inserita all’interno di un sistema, quello dei servizi all’impiego, che non è mai stato proattivo come vorrebbe il termine servizi, rispetto ai vecchi Uffici di collocamento, che rappresentavano il mito del collocamento numerico, come se tutti i lavori e ancor peggio tutte le persone fossero uguali e fungibili.
Probabilmente le politiche attive in questi anni sono state contrastate da una certa cultura, che ha sempre preferito usare le più semplici e deresponsabilizzanti politiche passive (cig, mobilità, naspi, ecc.) e non anche i percorsi formativi, la riqualificazione, i contratti di solidarietà e il collocamento in altre aziende. I nodi da sciogliere sono molti. Tanto per elencarne qualcuno, occorre capire cosa deve fare Anpal, il cui Presidente continua a far immaginare una fantastica App dal Mississipi, occorre avviare una seria riflessione sul rapporto tra agenzie private e servizi pubblici, sulle troppe diversità di misure e approcci regionali che di fatto creano disuguaglianze di opportunità tra i lavoratori.
Tuttavia, è fondamentale attivare il prima possibile processi di transizione per i lavoratori, anche perché in Italia, se da un lato vi sono esuberi, paradossalmente le imprese dichiarano di avere circa un milione di posti scoperti. È quindi sulla transizione da un lavoro all’altro, da una professione/competenza a un’altra che bisogna accompagnare le lavoratrici e i lavoratori.
Oltre alle cosiddette transizioni gemelle, quella verde e quella digitale, in Italia occorre lavorare sulla transizione lavorativa. Per far questo però, il Governo deve sapere che non si può cominciare con i licenziamenti. Le persone si sentirebbero abbandonate a se stesse, in una sorta di si salvi chi può. Questo la Cisl non può permetterlo e lo ha ricordato ancora nei giorni scorsi durante la trattativa con i ministri Gualtieri e Catalfo. Per questo ritiene che non si possa più perdere tempo per una seria riforma di sistema, in cui tutte le parti si impegnino a tutelare e a promuovere il lavoro. È una questione ineludibile in quest’epoca di transizioni, pena continuare ad avere in Italia un mercato del lavoro farraginoso e non trasparente, aggravando la crisi sociale e abbandonando le persone a un’affannosa ricerca di sponde per riuscire a sbarcare il lunario.
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