18 aprile 2024   Articoli

Le risorse dai poveri ai ricchi

Giuseppe Coco - Corriere del Mezzogiorno

Con le prospettazioni del DEF si capisce qualcosa di più della fase che abbiamo attraversato dopo la pandemia e della straordinaria redistribuzione di ricchezza che è avvenuta sotto i nostri occhi. Le tabelle mostrano un deficit di circa 8 punti di PIL all’anno per i tre anni 2021-23. 

Ma contemporaneamente la crescita ha compensato gli 8 punti nel 2021 per il rimbalzo del dopo-covid, e poi si è riportata gradualmente sui livelli abituali per il nostro paese (quest’anno è stimata al 1 per cento, ma probabilmente sarà inferiore). 

La conseguenza doveva essere un accumulo netto di debito su PIL ma questo non è avvenuto, nel 2021 perché il Pil cresceva, dopo perché intanto c’è stata l’inflazione. 

L’inflazione può essere un potente meccanismo di riduzione del debito. Se inattesa, ovvero se gli operatori finanziari non se l’aspettavano, essa riduce automaticamente il costo reale degli interessi per lo Stato. Lo Stato italiano era molto indebitato con obbligazioni pluriennali emesse a interessi molto bassi (vicini all’1 per cento). 

Una inflazione al 5% svaluta automaticamente la somma reale che lo Stato deve restituire in rapporto al Pil, che intanto si gonfia con l’inflazione. Man mano che quelle obbligazioni vanno a scadenza sono sostituite da obbligazioni con interessi più alti, ma intanto ci si gode la bonanza sullo stock. Inoltre, nonostante gli alti tassi di inflazione, i lavoratori privati ma soprattutto pubblici hanno deciso di soprassedere ad aumenti retributivi. 

Questo atteggiamento di straordinaria responsabilità del lavoro ha peraltro contribuito a rendere relativamente competitive le merci italiane e aumentare le esportazioni e l’occupazione a livelli mai visti prima. Di fatto negli ultimi due anni in Italia abbiamo assistito a una gigantesca riduzione dei salari reali, nella totale assenza di dibattito. 

Ma dove sono andati 8 punti di deficit all’anno per 3 anni allora? Nel 2021 questo deficit era dovuto alla riduzione del PIL e alle misure sociali ed economiche per il COVID, spese sociali e sanitarie temporanee e per la sostenibilità delle imprese. Si tratta di un deficit totalmente giustificato e che infatti ha prodotto una crescita corrispondente- si è ripagato. Successivamente l’eccesso di deficit sulla crescita ha una sola causa, i bonus fiscali ed in particolare il superbonus.

Le stime correnti danno la spesa del solo superbonus a 160 miliardi quasi tutti nel 2022 e 23. Si tratta di più dell’8 per cento del PIL del 2022. A chi sono stati distribuiti? Ovviamente agli operatori di settore che hanno vissuto una stagione indimenticabile, ma i beneficiari diretti sono stati i proprietari di immobili che hanno ristrutturato ‘gratuitamente’ e senza badare a spese. Date le difficoltà a trovare accordi nei condomini, è accertato che la gran parte delle ristrutturazioni sono avvenute in abitazioni indipendenti, in gran parte seconde case, che avevano meno bisogno di efficientamento energetico. 

Né i benestanti proprietari avevano bisogno di questa iniezione di ricchezza. Infine, la distribuzione territoriale del superbonus (si veda la relazione del Servizio Studi della Camera), indica chiaramente che le somme spese al nord sono comprensibilmente maggiori, quasi doppie, di quelle del sud. Ad esempio, Veneto ed Emilia hanno usufruito per cifre vicine agli 8 miliardi, la Puglia con popolazione comparabile ha usato 4,4 miliardi. 

La prima considerazione, quindi, è che abbiamo mancato una occasione storica per la correzione del debito che quasi certamente non ci si riproporrà in futuro. Ci ricorderemo di questa occasione quando scoppierà la prossima crisi del debito e dovremo fare sacrifici terribili o l’attribuiremo alla cattiveria dei tedeschi? 

La seconda considerazione è che intanto rinnoviamo i titoli del debito pubblico e paghiamo interessi sempre più elevati. Questo canale sottrarrà ulteriore spesa per servizi in futuro quando il debito crescerà automaticamente in termini reali per una inflazione inferiore agli interessi (il contrario di quanto avvenuto nel 2022). 

La terza considerazione è che l’occasione l’abbiamo persa non per adeguare i nostri servizi pubblici essenziali che generano crescita, come istruzione e sanità, e che ormai finanziamo meno di 2/3 del livello dei nostri partner europei, ma per rifare le villette. 

La quarta considerazione è che intanto abbiamo assistito a una colossale redistribuzione di risorse dai dipendenti (soprattutto pubblici) ai proprietari di abitazioni indipendenti. Dal lavoro alla rendita. La quinta considerazione è che certamente a usufruire più che proporzionalmente sono stati i più abbienti, anche in termini territoriali. 

Tralascio gli enormi effetti sui prezzi e le frodi. Non male per la misura simbolo di un governo di sinistra, quella vera.

Bastava poco per evitare molti dei difetti evidenziati. Bastava limitare il superbonus ai condominii o prime case, diminuire la percentuale del superbonus già dal 2022, limitare le somme agevolabili pro-capite. 

Gli effetti sul Pil sarebbero stati simili, ma non dovremmo ora chiederci se la prossima dovrà già essere una finanziaria lacrime e sangue, come lascia presumere il fatto che il governo non ha ipotizzato nel DEF il rinnovo di nessuna delle misure finanziate nel 2023. 

Si capisce anche perché Giorgetti ha già chiesto la proroga del PNRR. Seppure fossimo in grado di rispettare le scadenze, la spesa ci condurrebbe a livelli di deficit incompatibili con le regole europee e con una traiettoria di stabilità del debito.  

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Economia

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