Prove Invalsi nel Sud, storia di un disastro
Giuseppe Coco - Corriere del Mezzogiorno
La Relazione INVALSI di quest’anno è una lettura particolarmente tetra per le prospettive del nostro paese. Sappiamo che, anno dopo anno, INVALSI certifica il divario tra le aree geografiche e l’enorme divario tra classi sociali che si riflette in un abbandono formale degli studi molto rilevante. Ma anche in una dispersione implicita di studenti che di fatto sui banchi di scuola non acquisiscono nessuna competenza.
A questi divari si è aggiunta una constatazione terribile. Il crollo degli apprendimenti medi registrato nel 2021 per effetto della pandemia non sta rientrando velocemente come potevamo ancora sperare l’anno scorso. L’anno perso a scuola nei diversi ordini si ripercuote su tutte le prove ai diversi livelli come un terremoto che perde intensità molto lentamente negli anni.
L’unica competenza che sembra crescere negli ultimi anni (in media) riguarda la lingua inglese, forse perché i contenuti che i nostri ragazzi guardano online ormai anche durante le ore di lezione sono in lingua. Tutte le altre sono stazionarie su livelli minori a quelli raggiunti nel 2019.
L’aspetto più interessante è come sempre quello dei divari territoriali e sociali. E qui ci sono delle conferme e delle novità. Sui divari territoriali rimane un po' in ombra nelle cronache giornalistiche come al solito un po' pigre, un aspetto cruciale.
Non è vero che i divari si manifestano subito e sono sempre uguali nei diversi cicli scolastici. Nelle due prove delle scuole elementari i divari tra sud e centro-nord sono piccoli, probabilmente sono spiegabili interamente in termini di background famigliare medio. In altri termini almeno col sud continentale non c’è divario territoriale, ma solo sociale.
Addirittura alcune regioni del sud hanno performance superiori alla media nazionale, in Italiano in particolare. Un gap reale emerge solo considerando nella media la Sicilia, che pesa davvero molto. Al contrario man mano che si passa alla scuola media inferiore e superiore, il gap tra sud e nord si allarga significativamente fino a diventare abissale alla maturità. Altro aspetto interessante è che il divario è molto maggiore in matematica che in italiano.
Forse però la cosa più interessante è che ormai nell’istruzione parlare di un Mezzogiorno indistinto è semplicemente privo di senso. Le differenze tra Regioni sono davvero enormi. Basilicata, Molise, Abruzzo e in misura minore la Puglia, nonostante le sciagurate chiusure prolungate imposte dal Presidente Emiliano, non sono significativamente differenti dalla media nazionale in molti ordini di scuola e materie (come detto in alcuni casi nelle scuole elementari sono sopra media).
Il Mezzogiorno tirrenico, Campania, Calabria e Sicilia, invece è davvero su un altro pianeta e perde ulteriormente terreno. In Campania in particolare l’aumento della dispersione implicita al 20 per cento circa non rientra. Anche questo fatto smentisce plasticamente la ricostruzione popolarissima secondo la quale i divari si spiegano con diverse dotazioni di asili e classi con tempo pieno al sud. A pesare sembrano piuttosto fattori ambientali e culturali, forse legati alla pervasività della criminalità organizzata e alla sfiducia nella possibilità di emergere, cambiare la propria vita, attraverso lo studio.
Ovviamente questo non significa che gli asili siano irrilevanti e che non serva spendere di più per i contesti più svantaggiati, ma che la sfida è molto più complessa e richiede un grosso sforzo di comprensione.
Ultima evidenza la disuguaglianza per classi sociali è molto più importante al sud che al nord. Forse sta anche in questo elemento la radice dello scoraggiamento di molti ragazzi, nella struttura sostanzialmente classista della scuola meridionale (più di quella media italiana). Anche in questo caso si tratta di scavare in profondità nella struttura sociale per capirci qualcosa, e gli spunti non mancherebbero come si vede da questa breve rassegna.
E’ però un esercizio che la maggior parte dei meridionalisti contemporanei ha abbandonato da tempo, a favore di un approccio rivendicativo sulla spesa pubblica. L’unico tema degno di discussione sembra essere la distribuzione di risorse pubbliche, un ulteriore segno a mio parere della decadenza della nostra società.
A fronte di questo quadro e queste precise e ricche indicazioni, vale la pena di spendere due parole sul tentativo reiterato di sostenere che INVALSI non serva e che non misurerebbe niente. Nessun test misura con precisione assoluta gli apprendimenti, ma per sostenere che queste indicazioni siano prive di senso a mio parere serve una forte dose di ipocrisia.
Di certo sono misurazioni molto più rispondenti alla realtà delle assurde votazioni che anno dopo anno vediamo in gran parte delle scuole meridionali e che infatti sono esse stesse un segnale della vera malattia della scuola e della società.
E’ per questo forse che sarebbe arrivato il momento di utilizzare le votazioni INVALSI anche per le votazioni dell’Esame di Stato (verrebbero finalmente prese sul serio), che le prove di esame venissero corrette lontano dalle sedi di svolgimento e che si torni a commissioni con presenze davvero esterne. Sarebbe nel nostro interesse.
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