23 settembre 2020

Nulla è cambiato, ma l'emergenza diventa educativa

Viola Ardone - Corriere del Mezzogiorno

Viola Ardone - Scrittrice

Si ricomincia: sicuramente, forse, vediamo. C’è la sanificazione post-elettorale da fare, ci sono i banchi monoposto da consegnare, ci sono le cattedre vuote da riempire. Come sarà, mi chiedo a poche ore dalla fatidica data, la scuola che verrà? Non ci sarà, mi viene da rispondere. O meglio: non ci sarà “una” scuola, ci saranno tante scuole. Quello che è sempre stato un sostantivo “femminile, singolare”, garanzia per ciascuno del diritto allo studio obbligatorio e gratuito, si prospetta stavolta come un puzzle dalle innumerevoli tessere. In questo caso però il plurale non è sinonimo di pluralismo, ma di differenze, grandi e piccole, che possono inficiare il principio costituzionale che assicura a tutti gli studenti le stesse opportunità. 

L’impressione è che si parte perché si deve ripartire, perché tutti lo vogliamo, perché la scuola in questo momento è un “banco” (fuor di metafora) di prova e perché da qualche parte si deve pur ricominciare. Nelle stesse condizioni logistiche e strutturali del 5 marzo, con la buona volontà di sempre e adattando via via le regole alla realtà e non viceversa. Si tornerà in classe, in buona sostanza, arieggiando spesso i locali e sanificando tutto quello che si riesce a sanificare. 

Questi i due principi cardinali della “nuova” scuola, per tutto il resto c’è un mosaico di regolamenti interni, patti di corresponsabilità da far sottoscrivere ai genitori, corsi di formazione da somministrare ai docenti sulla gestione della situazione sanitaria in cui fioriscono regole e regolette varie e talvolta fantasiose. Lo stesso vale per l’organizzazione didattica: doppi turni, tripli turni, ingressi a giorni alterni, smembramento di classi in due o tre gruppi che si alternano nella frequenza; didattica mista (in presenza e in collegamento), didattica a distanza solamente per i primi mesi e poi si vede; ore da 45, 50, 55 minuti; banchi singoli, banchi segati in due metà da docenti amanti del bricolage, banchi doppi con alunni spalla a spalla, come in un’antica erma bifronte, i tanto attesi banchi a rotelle; giornate scolastiche da 3 ore, 3 ore e mezza, 4 ore e un quarto, 5 ore meno dieci, ingressi scaglionati di 5, 10, 15, 20 minuti…

Ogni dirigente scolastico ha dovuto affrontare la “missione impossibile” di far entrare negli stessi locali scolastici lo stesso numero di alunni senza tradire le norme igienico-sanitarie prescritte dal Comitato tecnico-scientifico e dal Ministero dell’istruzione, un gioco di prestigio per consentire in qualche modo ai propri alunni di tornare a scuola.

Tutto giusto: si fa quel che si può con quello che si ha.

Però, mi chiedo da genitore e da docente: come si fa in queste condizioni a garantire il diritto allo studio per tutti se, inevitabilmente, qualcuno avrà di più e qualcun altro dovrà accontentarsi di meno? Chi pagherà il conto di questa emergenza che da sanitaria rischia di diventare anche educativa, se non i nostri figli?

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