Il fallimento delle grandi città
Giuseppe Coco - Corriere del Mezzogiorno
In ogni paese che si rispetti esiste una parte degli intellettuali che sostiene che la vera anima del paese non risiede nelle città ma nei piccoli centri o nelle campagne e che si deve recuperare anche economicamente quelle aree, e ripopolare velocemente tutti quei bellissimi borghi. Nel suo straordinario libro sul ‘Trionfo della Città’, l’economista americano Edward Glaeser, ricorda che anche il Mahatma Ghandi sosteneva che l’India sarebbe rinata riscoprendo le proprie radici contadine e l’auto-sufficienza. Non è andata così e non perché qualche genio cattivo abbia deportato le masse dalle campagne alle città, ma perché quelle masse preferiscono vivere negli orribili sobborghi delle grandi città indiane a rischiare ogni anno la carestia e la fame nelle idilliche campagne indiane.
Il fatto è che la città ha dei vantaggi dal punto di vista economico che non possono essere soverchiati nel prevedibile futuro, a meno di guerre. In particolare la densità di intelligenze e conoscenze è il principale fattore di sviluppo delle economie contemporanee. In nessun paese più che in Italia dovremmo essere consci di quanto essa sia importante. In nessuna parte del mondo infatti lo sviluppo della città è stato così importante per la nostra prosperità e da tempi così remoti come in Italia, il paese dei Comuni e delle Repubbliche Marinare.
Questo non significa negare gli aspetti deteriori dello sviluppo urbano. La città genera innegabilmente esternalità negative molto potenti. Ma anche esternalità positive almeno altrettanto potenti. Quanto è stata rilevante la città per la diffusione e la pratica delle idee di libertà universale, di democrazia, dell’esistenza di diritti fondamentali dell’uomo, ad esempio?
In Italia sono molti gli intellettuali che ritengono che si debbano creare le condizioni perché gli abitanti delle aree che si spopolano abbiano le stesse condizioni di accesso ai servizi di quelli delle città. E’ abbastanza ovvio però che fornire quei servizi costerebbe decine di volte di più in aree non densamente popolate. Esiste una politica finanziata con fondi europei per le cd. Aree interne, aree in inesorabile spopolamento. Non c’è niente di male nel cercare di organizzare servizi decenti in tutte le aree del paese, ma con senso della misura. E’ giusto ad esempio spendere per educare magari tre bambini in una valle sperduta della Lombardia (o della Calabria) la stessa cifra che spenderemmo per una intera classe di 20 bambini a Scampia? E’ una scelta di valore da ponderare con saggezza.
La questione aree interne poi riguarda anche specificamente il nostro Mezzogiorno. Secondo alcuni ci sarebbe una specificità dello spopolamento del Mezzogiorno da attribuire solo alle aree interne. Niente di più falso. Il fallimento delle politiche per il Mezzogiorno e la nostra decadenza sono da attribuire massimamente al fallimento delle nostre città. Dal 2001 Napoli ad esempio ha perso quasi 50 mila abitanti, la gran parte delle città meridionali è in decrescita, alcune drammaticamente (Catania sembra l’unica eccezione). Nello stesso ventennio le gran parte delle città grandi e medie del settentrione sono tutte cresciute a tassi rilevanti (a doppia cifra). La differenza tra meridione e settentrione non sta quindi nello spopolamento delle aree interne, ma nella attrattività delle città. Che sono fatte di imprese, organizzazioni, università, conoscenza.
Gli intellettuali che vagheggiano il ritorno del borgo hanno un potentissimo mezzo per realizzare questo desiderio. Si possono trasferire in uno di essi. L’arrivo di alcuni borghesi facoltosi di età e cultura avanzata innesca certamente una domanda di servizi che può fare la differenza per un piccolo centro e renderlo attrattivo. E’ quello che sta avvenendo in Garfagnana dove il progetto case a un euro sta stimolando trasferimenti e ristrutturazioni a catena, con rilevanti ricadute economiche. Dobbiamo però essere consci che questo può avvenire in un certo numero di borghi, presumibilmente i più belli, non in tutti i borghi d’Italia. Anche in questo caso l’aggregazione è il processo che potrebbe salvare le aree interne. Ma questo è chiaramente in conflitto con la visione arcadica e sostanzialmente reazionaria degli intellettuali di cui sopra.
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