La mobilità del Mezzogiorno nel PNRR
Pietro Spirito - Gente e Territorio
Ormai si delinea il quadro delle scelte che sta operando il Governo Draghi nella predisposizione del Piano Nazionale di Rilancio e Resilienza, che sarà discusso nella prossima settimana in Parlamento, per poi essere inviato alla Commissione Europea.
Rispetto alle elaborazioni precedenti emerge un quadro strategico di maggiore chiarezza sulle direttrici di fondo che dovranno caratterizzare lo sviluppo competitivo dell’Italia nei prossimi anni. Correttamente il divario viene individuato innanzitutto nella forbice di produttività che si è consolidata negli ultimi due decenni tra il nostro Parse ed il resto delle economie industrializzate.
Sulle singole scelte operate, varrà la pena di approfondirne i contenuti, per passare dalla individuazione degli obiettivi alle definizione specifica dei progetti.
Non vi è dubbio che l’alta velocità ferroviaria abbia rappresentato una delle poche innovazioni infrastrutturali che hanno sorretto la competitività dell’economia italiana, soprattutto nel centro-nord: è noto che oggi la rete ferroviaria veloce si ferma a Salerno.
Il proposito del Governo di estendere le connessioni ad alta velocità nel Mezzogiorno costituisce quindi certamente un asse di intervento condivisibile e prioritario.
Tuttavia, dobbiamo entrare nel merito delle scelte che saranno operate, per misurarne l’efficacia di impatto e per comprenderne le ricadute sul tessuto economico nazionale.
Innanzitutto vi è una qualche confusione lessicale che non aiuta a comprendere le scelte tecniche che saranno operate: si parla di alta velocità di rete, alta capacità, alta velocità passeggeri. Non sono affatto sinonimi e conducono a costi di investimento, modelli di esercizio ed effetti trasportistici molto differenti.
Dobbiamo avere memoria di quanto è accaduto con la realizzazione dell’investimento nei decenni passati per la rete ferroviaria veloce attualmente operativa.
La discussione fu allora molto animata e vivace. Si decise di costruire quella che fu definita alta capacità, perché consentiva di far transitare sulla nuova rete convogli passeggeri e merci al tempo stesso. Era una esperienza singolare nel mondo perché nessuna rete di alta velocità ferroviaria consente anche il transito dei convogli merci.
In linea del tutto teoricamente si trattava di un investimento “politically correct”, perché mirava al tempo stesso a velocizzare i collegamenti passeggeri e ad aumentare la capacità di offerta per i treni merci.
I costi di realizzazione furono molto più elevati rispetto alle comparabili esperienze degli altri sistemi ferroviaria nel mondo: consentire di far transitare i convogli merci determinava la necessità di realizzare pendenze coerenti, moduli adeguati, resistenze indispensabili per il passaggio di treni pesanti.
Il costo di investimento, per questa sola ragione, risultò più elevato di un terzo rispetto alle esperienze comparabili, che avevano realizzato una rete funzionale al solo transito di treni passeggeri.
A distanza di due decenni, possiamo trarre conclusioni inequivocabili: non un solo convoglio merci ha utilizzato la rete italiana ad alta capacità. Le ragioni sono, e forse anche, erano evidenti: il mercato del trasporto commerciale non è in grado di pagare per il costo di un servizio che, solo per la componente del pedaggio di accesso alla rete, è superiore al prezzo di mercato delle modalità di trasporto alternative alla ferrovia.
Insomma, abbiamo investito in una poderosa rete pesante, ed abbiamo ricavato una efficace struttura di servizio sui treni passeggeri, che collegano le principali città metropolitane del nostro Paese.
Non pare il caso di insistere in questo errore. Eppure il documento del PNRR parla ancora di alta capacità per la realizzazione della rete ferroviaria nel Mezzogiorno, in particolare per il collegamento tra Salerno e Reggio Calabria.
Sarebbero soldi assolutamente sprecati: se l’armatura industriale del centro-nord non è stata in grado di attivare una domanda per servizi merci veloci, questa aspirazione nel Mezzogiorno diventa una pura chimera.
Sarebbe piuttosto necessario invece investire nell’adeguamento della rete ferroviaria tradizionale alle caratteristiche necessarie per la competitività del trasporto ferroviario merci: servono difatti convogli più lunghi e più pesanti.
Ed allora sulla rete esistente vanno realizzati interventi di adeguamento della sagoma delle gallerie, di corretta decisione dei moduli di stazione, di adeguamento dei raccordi nei porti e nei siti industriali.
Invece, la nuova rete di collegamento veloce nel Mezzogiorno può essere dedicata ai servizi passeggeri di lunga percorrenza, garantendo per questa via una secca riduzione dei tempi di percorrenza.
Infine c’è un tema sulla scelta dei tracciati. Sulla Salerno-Reggio Calabria sarebbe irragionevole e sciagurato investire in un collegamento nelle aree interne, che avrebbe la caratteristica di dover realizzare un sistema di gallerie lungo decine e decine di chilometri, con tempi di realizzazione che andrebbero verso le calende greche.
Insomma, l’indirizzo del Governo nella architettura del PNRR pare solido e credibile. Come spesso accade, il diavolo sta nei dettagli. È auspicabile che si faccia più chiarezza sulle soluzioni progettuali e che si parta anche dalla esperienza che abbiamo maturato sull’alta velocità in Italia. Come sostiene spesso il Presidente del Consiglio Mario Draghi, farsi guidare dal buon senso è un eccellente viatico per proseguire su un corretto tracciato
Seguici sui social