30 dicembre 2020   Rassegna stampa

«Recovery in ritardo serve un colpo di coda, l'industria punti al Sud»

Intervista a Maurizio Manfellotto di Nando Santonastaso - Il Mattino

Presidente Manfellotto, teme anche lei che sul Recovery Fund l'Italia sia in ritardo? Quanto pesa l'incertezza politica sulle scelte del governo?

«I fatti dicono che siamo in ritardo - risponde Maurizio Manfellotto, ad di Hitachi Rails e presidente dell'Unione industriali di Napoli, la più importante del Mezzogiorno -. Dalla Francia, alla Germania fino alla Spagna, i nostri partner europei hanno già presentato proposte di piano, mentre da noi siamo ancora a una bozza tutt'altro che pacifica, viste le reazioni all'interno della maggioranza di governo. C'è solo da sperare in un colpo di coda. Sarebbe disastroso, in una fase così delicata e decisiva per il futuro del Paese, vanificare una imperdibile opportunità di rilancio sociale ed economico». 

Ha ragione il Commissario Ue, Gentiloni? L'Italia ha bisogno di procedure straordinarie per farcela?

«Non entro nel merito della dialettica politica, ma non posso non condividere la preoccupazione del Commissario Gentiloni. Aldilà di qualsiasi modello si voglia definire, c'è bisogno di una governante e di procedure straordinarie in grado di garantire l'impegno dei fondi del Recovery entro il 2023 e la spesa entro il 2026. Non dimentichiamo che siamo penultimi in Europa per utilizzo dei fondi strutturali».

A proposito di risorse, pensa che sia giusto attribuire al Mezzogiorno almeno la metà di quelle europee come chiedono i governatori del Sud o ha ragione il ministro Provenzano, i più fondi cioè in base alla qualità dei progetti? 

«Provenzano ha il merito di aver varato, ancor prima del Covid 19, un piano Sud 2030 con cui tratteggia una vision e indica strumenti per rilanciare il Mezzogiorno in un disegno complessivo di crescita del Paese. Ha inoltre assicurato una decontribuzione per le imprese operanti al Sud destinata a durare per il prossimo decennio. Ora deve avere la massima determinazione nel far pesare la lotta alle disuguaglianze territoriali, che ha inciso in maniera determinante nella decisione di assegnare all'Italia un importo molto rilevante di risorse. I governatori meridionali hanno ragioni da vendere, ma devono superare miopi visioni territoriali e rispondere positivamente alla sollecitazione del ministro, migliorando la capacità di spesa dei fondi disponibili. E soprattutto devono collaborare tra di loro e con l'esecutivo: servono interventi infraregionali per il recupero del gap strutturale del Sud nei confronti del Centro-Nord e delle altre macroregioni europee». 

Ma secondo lei quale dei sei asset di base indicati dall'Ue potrà realmente cambiare il passo del Mezzogiorno?

«Le direttrici della digitalizzazione, della transizione ecologica e della mobilità sostenibile, dell'istruzione e ricerca, della coesione di genere, sociale e territoriale, della tutela della salute, sono imprescindibili. Sulla ripartizione delle risorse e la definizione dei progetti si può discutere, ma una cosa è certa: il Sud deve essere protagonista in ciascuno degli ambiti considerati. Solo così si potranno porre le basi per la nascita di quel secondo motore produttivo meridionale che è l'unica strada praticabile per impedire il protrarsi di un declino del Paese purtroppo già in atto da un paio di decenni. Tradotto in scelte politiche, significa privilegiare gli investimenti rispetto a incentivi, sussidio mance. E gli investimenti servono innanzitutto dove mancano le infrastrutture e i servizi, vale a dire a Sud».

Ma un Paese che non imbocca decisamente la strada delle riforme che prospettive può avere davanti a sé? Lei da dove partirebbe?

«Riforma della pubblica amministrazione, con la formazione di una nuova classe dirigente. Riforma della giustizia. Forte accelerazione impressa alla digitalizzazione sia in campo pubblico che privato. Un nuovo sistema formativo per creare i profili professionali necessari alla transizione ecologica e digitale. Sono linee tracciate solo parzialmente nella bozza del Recovery Plan, e con eccessiva vaghezza. È fondamentale poi una semplificazione normativa che consenta una rapida attuazione degli interventi. Solo così si potrà ribaltare il drastico calo della spesa pubblica in conto capitale che ha penalizzato soprattutto il Sud. Bisogna inoltre creare condizioni di vantaggio per attrarre nel Mezzogiorno anche investimenti privati, italiani e stranieri. E, ove sia possibile, dare spazio al partenariato pubblico-privato, sfruttando energie e risorse imprenditoriali pronte a contribuire alla rinascita italiana».

L'industria ha ancora un futuro al Sud e a Napoli in particolare? 

«Il futuro dell'industria italiana è al Sud, nel senso che nelle regioni meridionali vi sono ancora territori non saturi, giovani qualificati e sempre più orientati alla cultura d'impresa, opportunità da cogliere in tanti settori: dalle energie rinnovabili al sistema dei trasporti, dall'aerospazio al compatto chimico farmaceutico. Nel Mezzogiorno ci sono eccellenze e imprese molto qualificate: a mancare, purtroppo, è lo Stato. Studi recenti hanno dimostrato quanto abbia penalizzato il Mezzogiorno il fatto che l'Alta velocità abbia ignorato buona parte del suo territorio. Se si creano i presupposti di una competizione alla pari, sviluppo e occupazione vengono di conseguenza. E si rinsecchisce il terreno per la mala pianta della criminalità e per l'economia sommersa».

La ripresa potrebbe arrivare a metà 2021 quando verrà ripristinata la possibilità di licenziare. Non si rischia di aprire una nuova delicatissima stagione di tensioni sociali? 

«Una grande ripresa dell'investimento pubblico e privato potrebbe più che compensare le perdite occupazionali originate dalla necessaria riorganizzazione degli assetti produttivi. Dovranno naturalmente valutarsi caso per caso tutte le possibili soluzioni a vertenze aziendali dalle dinam fiche non sempre comprensibili. Importantissimo è anche l'impulso alla ricollocazione del lavoro, implementando la formazione continua e dando senso compiuto a politiche attive per troppo tempo rimaste pie intenzioni».

2021 sarà anche l'anno delle elezioni comunali di Napoli. Cosa si aspetta il sistema delle imprese dal nuovo sindaco? 

«Politica ed economia sono dimensioni diverse, ma non separate. Un sindaco deve essere anche un manager nella conduzione del proprio territorio, compatibilmente con il superiore interesse pubblico di cui è garante. Chi guiderà il Comune di Napoli, la sua Città Metropolitana, dovrà imprimere una svolta a partite fondamentali: il risanamento delle società partecipate, l'accelerazione di opere pubbliche che spesso procedono a ritmi di tartaruga, e un contributo, dialettico sì ma non sterilmente polemico, a processi di rigenerazione urbana in concorso con altri livelli istituzionali».

 

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