Il presupposto sbagliato della ZES Unica del Mezzogiorno
LaVoce.info
Con il Decreto legge 124 del 2023 il Governo Meloni ha istituito la Zona Economica Speciale per il Mezzogiorno denominata (ZES Unica). Dopo alcuni mesi dal varo e dopo la scadenza del 12 luglio 2024 per presentare la richiesta di investimenti, una serie di dubbi sulla reale portata dell’iniziativa sono sorti. Ad oggi infatti, non è ancora possibile sapere con certezza a quanto ammonterà il vantaggio fiscale per le imprese, in quanto lo stesso sarà calcolato sui reali investimenti e non su coloro che finora ne hanno fatto richiesta. Inoltre, l’Agenzia per le Entrate ha chiarito la scorsa settimana che il credito d'imposta per la ZES non è compatibile, con il credito per investimenti in beni nuovi strumentali o con il credito d’imposta transizione 5.0.
Dopo una prima diatriba tra l’Agenzia delle Entrate ed il Ministero per gli Affari europei, per le politiche di coesione e per il PNNR, il Governo è corso ai ripari, sostituendo il capo della struttura tecnica e raddoppiando ad oltre 3,2 miliardi l’entità delle risorse disponibili per il riconoscimento del credito d’imposta.
Il problema principale però rimane, e risiede nel fatto che la ZES Unica nasce su un presupposto sbagliato: quello di aver pensato di realizzare una ZES su un territorio così grande e fortemente eterogeneo come quello del Sud d’Italia. Non esiste infatti al mondo una ZES così grande ed estesa come quella del Mezzogiorno con i suoi 123 mila chilometri quadrati. Questo non può rappresentare un elemento di forza del modello italiano, ma semmai un elemento di forte debolezza che ne depotenzia le reali capacità attrattive. Come messo in evidenza da un report di qualche anno fa dalla Banca Mondiale esistono nel mondo circa 4300 ZES. La maggior parte di queste, sono localizzate in Paesi emergenti. L’intento principale di questo strumento è quello di attrarre grandi investitori stranieri in modo da favorire la crescita economica in territori economicamente più svantaggiati offrendo loro condizioni vantaggiose per la produzione e vendita delle merci. Esistono diverse tipologie di ZES al mondo come aree franche doganali, o altre tipologie che si sono via via modificate e aggiornate nel corso degli anni.
Tutte le ZES nel mondo sono chiaramente identificabili con aree geografiche limitate, e sono perlopiù nate in prossimità di grandi città e ben collegate con importanti infrastrutture come autostrade, porti e aeroporti.
In un report del 2013 del Parlamento europeo i tre casi di successo in Europa citati avevano tutti le stesse caratteristiche: incentivi fiscali, luoghi ben delimitati e non troppo grandi, vicini ad infrastrutture logistiche in modo da connettersi con i mercati esteri e manodopera specializzata. Nel dettaglio, i casi riportati erano quelli di Shannon in Irlanda, creata per sostenere l'aeroporto di Shannon; di Madeira in Portogallo che ha contribuito alla crescita economica dell’intera isola; e di Katowice in Polonia, più simile all’idea originaria di ZES italiane istituite nel 2017, un esempio di successo nell'attrarre investimenti nel settore della meccatronica e nell’automobile, vicina alle grandi infrastrutture autostradali tedesche ed in grado di garantire manodopera specializzata grazie alla collaborazione con la locale università.
L’idea italiana di creare un’area ZES così vasta come quella del Mezzogiorno, invece, è esattamente il modo meno utile di attrarre grandi investitori, rendendo tutto più confuso e meno gestibile da un punto di vista amministrativo. Affermare che la ZES unica sia stata istituita per dare a tutte le aree del Mezzogiorno le stesse opportunità di crescita è un modo sbagliato di sostenere l'iniziativa creando false speranze in territori che difficilmente vedranno l’arrivo di grandi investitori stranieri. E´ indubbio infatti, sebbene sarebbe auspicabile, che nessuna impresa multinazionale potrà mai scegliere di insediarsi nelle nostre “aree interne” o in luoghi periferici del nostro Mezzogiorno, ricco di molte risorse naturali, ma certamente poco attrezzate dal punto di vista infrastrutturale. Meglio, probabilmente sarebbe stata la scelta da parte del Governo di ridefinire e magari snellire le ZES che erano già state istituite nel 2017 e che dopo una prima fase di rallentamenti stavano iniziando finalmente ad operare in modo virtuoso come quelle di Napoli e Bari.
Le risorse destinate per la ZES Unica non dovrebbero essere considerate un sostituto delle riforme strutturali più ampie mirate a migliorare l'ambiente economico complessivo. A tal proposito, il Governo ha raddoppiato il fondo per il credito di imposta, ma queste risorse saranno sottratte ad altre politiche di investimento. Siamo certi che sia la scelta giusta? Sebbene la ZES possa svolgere un ruolo nell'industrializzazione e nello sviluppo economico, il suo impatto sarà probabilmente limitato senza politiche complementari che affrontino il contesto economico e istituzionale in modo più ampio.
In generale, la classe politica, e non solo, dovrebbe anche essere più cauta su ciò che la ZES potrà effettivamente significare per la crescita economica del Sud. Il successo di queste zone infatti, come ampiamente descritto dalla letteratura (Farole (2011) e Frick et al (2019)), non è garantito e i loro benefici potrebbero essere di breve durata. Tuttavia, riconoscendo i limiti attuali della ZES Unica, ridefinendo in modo più selettivo e snello l’attuale iniziativa, con incentivi fiscali mirati e certi, insieme ad una forte azione di semplificazione e ad una specializzazione chiaramente riconoscibile in ambito internazionale, si potranno massimizzare i benefici potenziali della ZES, al fine ultimo di attrarre realmente grandi investitori. Di questi, non solo il Mezzogiorno, ma tutta l’Italia ne potranno beneficiare.
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