Il Madre di Laura Valente, un museo di (e per) Napoli contemporanea
Intervista a Laura Valente di Giuseppe Fantasia - Elle Decor
Tra le prime cose che vi consigliamo di fare quando tutto – si spera – sarà riaperto, è tornare a Napoli e visitare il Museo Madre se non lo avete ancora mai fatto. È il primo polo museale di arte contemporanea situato nel cuore del centro storico di una città italiana, “un museo regionale per forma giuridica, nazionale per spirito, un’istituzione pubblica per vocazione”, ci dice la neo presidente Laura Valente, “la migliore dell’anno”, stando ad un recente sondaggio. “È una cosa che mi ha sorpresa e commossa”, spiega. “Sono figlia di combattenti, ho tre figli, so cosa voglio, soprattutto nel lavoro in cui mi sono imposta tra gli obiettivi da realizzare l’inclusione sociale. Per me, aggiunge, fare il presidente di un museo è sentirsi prima di tutto un servitore dello Stato”.
Milanese doc, vive nella città partenopea da tanti anni ed è lì che si sente a casa, parte attiva di una realtà in cui la tradizione si amalgama quotidianamente con l’innovazione, il caos con l’ordine, la quiete con il movimento. Di tutto questo, il Museo Madre di Napoli – sito tra i quartieri di Forcella e Sanità, autentici scrigni in cui la napoletanità vive e resta viva – ne è il simbolo sin da quando è stato aperto, nel 2005, realizzato dall'architetto portoghese Alvaro Siza intervenendo sull’antico Palazzo Donnaregina, quello che - come tutta l’area in cui sorge - deve il suo nome al Monastero di Santa Maria Donnaregina fondato dagli Svevi nel XIII secolo e poi ampliato e ricostruito nel 1325 dalla Regina Maria d’Ungheria, moglie di Carlo II d’Angiò. Dell’antico complesso conventuale oggi restano solo la chiesa omonima costruita in epoca barocca, e quella trecentesca (Donnaregina “vecchia”) che è invece in stile gotico e nel suo insieme il palazzo è un esempio di stratificazione storica tipica di tutto il centro antico cittadino e dalla sua terrazza la vista è mozzafiato, evidenziata dall’opera site-specific con la scritta “Il mare non bagna Napoli” di Bianco-Valente, omaggio al famoso libro di Anna Maria Ortese che in una serie di racconti del 1953 fece un'analisi estremamente lucida delle condizioni di vita della città nel secondo dopoguerra.
“Sapere dove sei e chi è la tua gente, è importante”, continua Valente. “Abbiamo pulito le strade, regalato le scope e altre cose per pulire, abbiamo invitato i ragazzi del quartiere ad entrare in quell’edificio perché non sapevano che dentro ci fosse un museo e oggi la via (Settembrini, ndr) è sempre in ordine, perché tutti vogliono che lo sia e tutti vogliono mantenerla così. Sono i primi ad esserne orgogliosi”. “Non siamo un centro sociale né una Asl – precisa - ma un museo che ha il dovere di essere linguaggio e narrazione del contemporaneo, un museo che sente la responsabilità della sua comunità”.
In questo periodo, anche Valente è ovviamente “al chiuso” nella sua abitazione. “Rifletto molto ed è come se sistemassi le cose in una credenza più ordinata per poi fare giornalmente una sorta di diario di bordo che mi dice a che punto sono e dove sono arrivata. Questo lockdown lo vivo come tutti, costretta ad un embargo straniante che ha cambiato il nostro modo di vivere. L’embargo, però, non è una tana: le tane sono sicure per le nevrosi, ma quando sono imposte ti fanno sentire in gabbia. La mia, anche se privilegiata, è pur sempre una gabbia e tutti, me inclusa, soffriamo di questa chiusura. Siamo in una polveriera sociale – aggiunge – e c’è tanta voglia di tornare alla realtà più forti e attivi di prima. Noi al Madre abbiamo istituito lo smart-working con diverse sessioni giornaliere su Skype e forti di un gruppo di comunicazione che mi piace definire ‘poroso’, ma siamo fortunati, perché ci sono altre realtà in cui questo non è stato possibile. Il digitale è meraviglioso, ma le mostre sono un viaggio da fare dal vivo con la mente, con gli occhi e il cuore”.
Il museo continua comunque a vivere, seppur online, come altre istituzioni museali in Italia e nel mondo, dimostrando di continuare ad essere il testimone speciale di una storia che ha reso la Campania un crocevia di tutte le arti contemporanee, in grado di agire nel presente delineando il futuro. “Con la nostranuova direttrice artistica, Kathryn Weir, la prima direttrice straniera del Madre, stavamo presentando un programma biennale poco prima che fosse emanato il decreto. Volevamo aprirci a riflettere sull’ambiente, la sostenibilità e altre tematiche del nostro tempo, ma con il lockdown non è stato possibile. Nonostante questo, però, sono tanti, tantissimi, gli appuntamenti per tutti i visitatori online del museo, ma non è questo – tiene a precisare - il momento dei numeri e dei like, ma dei contenuti. Cerchiamo di lasciarci dietro quella ricerca ossessiva dei visitatori”. È bene ricordare, però, che lo scorso anno il Madre ha registrato più di centomila visitatori di cui il 70,9 per cento paganti, quindi onore al merito.
Molto interessante il progetto “Door-to-Door”, il programma digitale che porta l’arte a domicilio. Guardare le opere della sua collezione permanente – di Francesco Clemente, Sol LeWitt, Jannis Kounellis, Giulio Paolini, Richard Serra, Jeff Koons, Richard Long, Rebecca Horn, Domenico Paladino, Domenico Bianchi e molti altri – è possibile, ma c’è di più. C’è “Manuale per i viaggiatori”, il video realizzato ad hoc da Mariella Senatore che è il risultato di un vero e proprio laboratorio aperto dove ogni singolo visitatore è stato invitato ad assistere e a partecipare alle fasi di lavorazione, diventandone così parte attiva, dalla scrittura alla recitazione, dalla scenografia alla fotografia e all’illuminazione. Di progetti “on air” ce ne sono stati diversi, tra cui “Presence”, il video con cui Anna Maria Pugliese è andata ad indagare la problematicità del vivere quotidiano nel quartiere di San Lorenzo e “Superstars”, il video con cui l’artista berlinese Thomas Bayrle è andato a riflettere sui meccanismi di produzione e mediazione dell’immagine contemporanea, interrogandosi sulla relazione tra l’io e l’altro nella società globalizzata.
Fondamentale è stato poi il progetto “Madre per il sociale”, grazie al quale i ragazzi delle periferie e dei quartieri più difficili di Napoli sono stati coinvolti in progetti e invitati a far emergere tutta la loro creatività seguiti da tutor d’eccezione. Tra questi, Stefano Chiassai del gruppo Fendi che ha lavorato con nove ragazzi migranti fuggiti da guerre o ragazze vittime di violenze e di tratta facendoli diventare protagonisti del progetto “Less”, realizzando abiti con tessuti e altri accessori forniti da aziende lombarde e campane, con tanto di sfilata all’ultima fashion week milanese e poi, ovviamente a Napoli, omaggiati da un’opera di Mimmo Paladino che ora è nella collezione del museo. “Sono sempre stata sostenitrice del museo come comunità, una comunità che si fa mondo”, aggiunge Valente. “Uno di quei ragazzi doveva essere rimpatriato, ma poi è stato assunto da un’azienda locale ed è rimasto qui. Non lo abbiamo pubblicizzato, ma aiutato, dando importanza soltanto al suo valore che è enorme”.
“Non ci siamo e non perdiamo mai d’animo – ricorda - continuiamo a programmare e a realizzare progetti. Questo periodo ci sta insegnando che il virus è un nemico che ha ucciso e continua a uccidere le vite umane, ma anche le politiche e le economie e che abbiamo bisogno di punti di riferimento solidi per poter ripartire”. Napoli, come molte altre città italiane, è una città sospesa e svuotata per l’emergenza del Coronavirus ed è da proprio da ciò che è partito il fotografo Eduardo Castaldo che ha regalato al Madre il suo “Intervallo Napoli, 2020”, visitabile sul profilo Instagram del museo.
Lo spazio di Napoli – racconta l’artista - spogliato della vita, rivela il suo scheletro e diviene evidenza visiva di questa crisi aperta sul nostro sistema. Sparuti abitanti ne percorrono le geometrie spettrali mettendo in scena gesti quotidiani drammaticamente svuotati del loro senso originario e della libertà di scelta che li legittimava”. Al contrario è la natura ad emergere in tutto questo vuoto, riprendendosi il suo vigore, i suoi suoni e i suoi cicli che si adattano pacificamente a questa nuova dimensione. In tutto questo e continuo divenire, in tutta questa incertezza, fondamentale è il tempo perché – conclude questa presidente che ogni museo vorrebbe avere - ho sempre pensato che un museo non sia una vetrina laccata, ma una centrale elettrica che deve sempre interrogarsi sullo stesso per utilizzarlo al meglio, cercando di narrare con i mezzi e i linguaggi che ha la contemporaneità”.
Un museo è una fucina di progetti che ragiona sui temi del momento infischiandosi del ‘nemico’ che oggi è globale e questo il Madre lo ha dimostrato e continua a farlo senza mai dimenticare di essere un luogo dell’anima astratto e potente allo stesso tempo, uno di quelli in cui lo spettatore è invitato a intraprendere un viaggio nella bellezza senza mai dimenticare la cooperazione, perché è indispensabile per la vittoria.
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