Pandemie e imprese: al Sud si resiste e si investe
Claudio De Vincenti - Corriere del Mezzogiorno
Non solo antiche debolezze, ma anche nuove capacità di resilienza segnano il Mezzogiorno del dopo-pandemia: è quanto emerge da Mezzogiorno: panorama economico di mezz’estate, il Rapporto pubblicato in questi giorni da SRM, Centro Studi di Intesa San Paolo.
Sappiamo che la crisi innescata dalla pandemia di Covid-19 ha colpito duramente l’economia italiana, già provata dalla stagnazione del 2019: i dati Istat parlano di una contrazione del Pil nel 2020 pari all’8,9% a livello nazionale, con un impatto un po’ superiore al Nord (-9,1%) rispetto al Sud (-8,4%). Conseguenze significative di segno negativo sulla tenuta delle imprese e sui livelli occupazionali ci sono state, pur se contenute sia al Centro-Nord che al Sud dalle misure governative varate nell’ultimo anno e mezzo. Alla fine, l’impatto della crisi pandemica è risultato simile su tutto il territorio nazionale ed è stato - almeno per ora - scongiurato il pericolo di un drammatico depauperamento del tessuto produttivo, anche se ci sono diversi segnali di imprese in grave difficoltà.
Resta naturalmente invariata la divergenza strutturale tra le due macroaree del Paese, con il Meridione segnato da una più bassa quota di occupati sulla popolazione, una minore produttività media e una minore presenza dell’industria, cioè del cuore più dinamico del sistema produttivo. Ed è con questa eredità che deve misurarsi il Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) se vuole diventare il catalizzatore di una reale inversione di tendenza. Ma, per farlo, deve anche saper cogliere i fattori di cambiamento che nell’ultimo decennio hanno cominciato a far emergere nel Mezzogiorno semi di dinamica innovativa e potenzialità di sviluppo positive.
E sono appunto questi fattori che emergono dal Rapporto SRM, in particolare dai risultati dell’indagine condotta nella prima metà di luglio su un campione di 700 imprese operanti in Italia nei settori manifatturieri. Nonostante sia maggiore al Sud che al Centro-Nord la quota di imprese che guarda in misura pressoché esclusiva al mercato interno, per un quarto delle aziende meridionali la quota di vendite all’estero sul fatturato supera comunque il 40%. Inoltre, la percentuale di imprese meridionali che hanno effettuato investimenti nel triennio 2018-20 – pur risentendo negativamente della battuta d’arresto del 2019 e dell’impatto della pandemia 2020 - appare in linea con la media nazionale: 34% contro il 36% generale. E, soprattutto, al Sud ben il 60% di quelle che investono, contro il 54% nazionale, lo ha fatto in maniera rilevante, per un ammontare cioè superiore al 20% del fatturato. Infine, sia al Sud che al Centro-Nord circa un terzo delle imprese intervistate prevede di aumentare di oltre il 15% le spese per investimenti in digitale, innovazione sostenibile e ricerca in collaborazione.
Fin qui i dati SRM, che confermano come i segnali di rinnovamento emersi nell’ultimo decennio in alcuni settori dell’industria meridionale - automotive, abbigliamento, aerospazio, agroalimentare, farmaceutica, meccanica, macchine utensili, elettronica – continuino a operare e costituiscano fattori di possibile resilienza.
Si tratta allora, con il PNRR, di offrire sostegno alle imprese che investono e innovano, accompagnandolo con investimenti infrastrutturali mirati a colmare il gap di capitale fisico e capitale sociale che divide il Sud dal resto del Paese.
Sul primo versante, serve una politica industriale di promozione del mercato e dell’impresa attraverso la riorganizzazione del sistema di incentivi che la Ministra Carfagna intende promuovere nel quadro delle riforme necessarie ad attuare il PNRR. Gli incentivi più efficaci sono quelli che – come il Credito d’imposta per gli investimenti al Sud - finanziano direttamente gli investimenti delle imprese secondo meccanismi automatici, certi e trasparenti di utilizzo.
Sul versante infrastrutturale, il Piano disegna un percorso di rafforzamento del capitale fisico in chiave di transizione verde e digitale – logistica e portualità, alta velocità ferroviaria, reti energetiche, banda ultra-larga e 5G, reti idriche – e di contrasto e superamento dei fattori di debolezza del capitale sociale, a cominciare dall’investimento in istruzione e in rigenerazione urbana.
La partita si gioca ora sulla capacità di tradurre in realtà gli interventi previsti dal PNRR: serve una governance della sua attuazione che metta in riga le tante pulsioni all’appropriazione di rendite provenienti da una parte della politica e dei gruppi di interesse locali e affermi invece un utilizzo delle risorse a fini di sviluppo del tessuto produttivo e di progresso sociale. Una direzione forte da parte dello Stato centrale che punti sulle componenti propositive, non sterilmente rivendicative, delle istituzioni e della società civile meridionali.
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