Cosa accade se Fitto va in Europa
Giuseppe Coco - Corriere del Mezzogiorno Napoli e Campania
L’eventuale imminente nomina di Raffaele Fitto alla Commissione Europea rivela alcuni problemi del governo e ne pone degli altri. Da un lato essa rivela la difficoltà del governo di centro destra di proporre candidature plausibili per cariche come queste, di fatto il Ministro è l’unica scelta possibile, salvo voler indicare un esterno indipendente, come fece in maniera lungimirante Berlusconi con Emma Bonino e Mario Monti. Oggi, non avendo ottenuto come prevedibile un super-Commissario, sappiamo certamente che gli interessi italiani, e anche quelli europei, sarebbero stati tutelati meglio se il Presidente della Commissione fosse stato Mario Draghi. Di certo, la poco popolare Presidente uscente non era la prima scelta né di Macron, né di Scholz, che avrebbero appoggiato Draghi, ma spettava al paese di origine proporlo.
Ora se Fitto va via con un portafoglio che sappiamo non sarà centrale, si pongono due domande: a che punto siamo con i dossier da lui gestiti, i più importanti per il paese, e chi potrebbe realisticamente completarne l’opera. Fitto cumula una quantità di deleghe che lo rende molto più influente di un Ministro: Programmazione economica (CIPE), PNRR, Coesione (Mezzogiorno), Rapporti con l’Unione. Spacchettarle ora espone ad ovvia critica, dopo che si sono stati versati fiumi di inchiostro sul genio del Presidente nell’accorparli. Diciamo che almeno programmazione e PNRR devono senz’altro essere gestiti insieme. Lo stato di attuazione del PNRR è molto incerto. Fitto è stato abile a spostare la rendicontazione dalla spesa per investimenti alle riforme. Non abbiamo mai avuto problemi a fare riforme anche se gli effetti sono alquanto dubbi. Ma il grosso della rendicontazione da investimenti è stato spostato all’ultima tranche nel 2026, quindi il successo in termini di spesa si potrà valutare solo almeno tra un anno e il governo non rilascia dati sufficienti a fare valutazioni intermedie. C’è anche un altro problema. Il PNRR non è solo spesa, e nemmeno solo riforme. Doveva servire a due altri scopi: renderci di nuovo capaci di fare investimenti pubblici e cambiare la struttura della spesa pubblica italiana, dalla spesa corrente a quella capitale (anche capitale umano) anche dopo la fine del PNRR. Su questi temi i segnali non sono positivi. Di fatto una serie di decisioni dimostrano che il governo considera la spesa PNRR come sostitutiva di spesa ordinaria ed infatti definanzia i soggetti che hanno ricevuto fondi PNRR e gli investimenti diretti, in vista della prossima problematica Legge di Bilancio in cui andranno trovati i soldi per pagare tutte le mance fiscali finanziate solo per l’anno scorso. Quando gli spazi di bilancio si chiudono, il nostro paese sceglie sempre la mancia rispetto all’investimento, ai servizi e alla ricerca.
Sulla Coesione lo stato di attuazione mette i brividi. Di fatto la spesa dei fondi di coesione 2021-27 non è ancora cominciata. Non sappiamo in realtà ancora se, dopo i miracoli delle rendicontazioni del 2009 e 2015, riusciremo a ripetere il miracolo nel 2023 e a rendicontare tutti i finanziamenti del ciclo 2014-20. La situazione della coesione è drammatica, Fitto ha quindi propriamente riformato il settore drasticamente, e distrutto e ricostruito una amministrazione a sua misura. La riforma delle ZES, intervenuta mentre le ZES esistenti producevano effetti, è entrata in una fase pericolosa per ragioni che avevamo ampiamente anticipato. La gestione dal centro di tutte le autorizzazioni ZES con strutture dalla Presidenza del Consiglio è un azzardo. Fitto ha intelligentemente sostituito a luglio il Coordinatore della struttura con uno dei Presidenti delle ZES precedenti, ma non è chiaro se ciò sia sufficiente a far funzionare la struttura. Il Piano Strategico, che dovrebbe programmare la ZES nel triennio, non è ancora pubblico, mentre i tempi per godere del credito d’imposta ZES stanno per scadere e non è chiaro se e come esso sarà rifinanziato l’anno prossimo, dopo i grossi problemi di quest’anno. La riforma generale della coesione licenziata a maggio non sembra francamente sufficiente a costringere a effettuare spesa, pur trascurando il problema della efficacia della spesa, un problema specifico del nostro paese oltre ai ritardi.
Chiunque subentri a Fitto si troverà in una situazione difficile, soprattutto sul capitolo Coesione, con una riforma e una nuova amministrazione da far funzionare. Impensabile che si affidino questi dossier a chi ci potrebbe mettere 6 mesi a capire come funziona, anche perché Fitto è competente e gestisce i dossier in prima persona, le sue strutture non vanno avanti da sole. Impensabile anche l’arrivo di un Ministro che si ponga l’obiettivo di una sua riforma, si tratta di mettere a regime una macchina appena uscita dall’officina che ha già due anni di ritardo. Con lo svantaggio di non averla progettata. Buona fortuna al prescelto.
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