20 giugno 2024

Il bivio per Giorgia e Elly

Claudio De Vincenti - Corriere del Mezzogiorno

I risultati delle recenti elezioni europee sono un ulteriore segnale della fase travagliata che le democrazie avanzate stanno traversando: ne sono testimonianza l’allontanamento di quote sempre più ampie di cittadini dall’esercizio del diritto di voto e l’affermazione, specie in Francia e Germania, di forze che mettono in discussione i valori di tolleranza e solidarietà che sono parte costitutiva della vita democratica. Astensione dal voto e crescita della destra estrema riconducibili, almeno in parte significativa, a quei sentimenti anti-sistema che percorrono l’elettorato delle aree geografiche o delle fasce sociali colpite dalla “divergenza”, ossia – secondo la definizione datane in un recente saggio da Carlo Bastasin – da un allontanamento protratto nel tempo dalle condizioni medie di vita della società di riferimento. 

Nel Mezzogiorno, ossia nell’area di “divergenza” più accentuata presente nel nostro Paese, ha prevalso il fenomeno dell’astensione, con percentuali ancor più consistenti di quella, già di per sé elevata, registrata a livello nazionale: un segnale allarmante, come sottolineato nei giorni scorsi su queste colonne da Enzo d’Errico, Paolo Macry, Aldo Schiavone.  Quanti sono andati a votare – solo il 41,8% nell’insieme delle otto regioni meridionali – hanno determinato il successo del Centrosinistra nel Mezzogiorno continentale e del Centrodestra in quello insulare (o meglio, in Sicilia). E, sebbene in presenza di una minore polarizzazione rispetto alla media nazionale, anche al Sud Fratelli d’Italia e Partito Democratico sono emersi come le forze portanti dei due schieramenti, accompagnate peraltro da insediamenti tuttora significativi di Forza Italia e (nonostante la sconfitta) del M5S.

Sta quindi in primo luogo alle due forze maggiori interrogarsi sulle scelte di fondo necessarie a mantenere o a conferire consistenza politica al proprio campo, un compito che passa inevitabilmente per la costruzione di risposte concrete ai problemi del Paese, a cominciare da quelli del suo Mezzogiorno. 

La “narrazione” ha funzionato bene finora sia per la Presidente del Consiglio sia per la Segretaria del PD: la prima, impegnata a trasmettere un messaggio di determinazione non “buonista” nell’affrontare alcune urgenze, come l’uscita dagli usi impropri del reddito di cittadinanza e del superbonus, la gestione del fenomeno migratorio, la rivendicazione del ruolo italiano nella UE; la seconda, capace di accompagnare l’accentuazione iniziale in materia di diritti civili con la sottolineatura di temi sociali rilevanti e rimasti in ombra nell’azione del Governo, dal livello depresso delle retribuzioni ai problemi della sanità. Ma per l’una e per l’altra i nodi sono destinati a venire al pettine nei prossimi mesi: dalla loro soluzione dipenderà la possibilità stessa di ricostruire la fiducia degli italiani nelle istituzioni democratiche nazionali ed europee.

In autunno, la Legge di Bilancio attende al varco Giorgia Meloni: finora, grazie alla sospensione delle regole fiscali europee, il Governo ha potuto evitare di rivedere le sue prime misure – riduzione del cuneo fiscale e dell’Irpef, ampliamento dell’area a tassazione ridotta per gli autonomi e mantenimento degli anticipi pensionistici – scaricando sugli effetti perversi del superbonus la responsabilità degli sforamenti di bilancio. Ma ora, con il ritorno delle regole europee (pur molto migliorate rispetto alle precedenti), sarà necessario predisporre ed esplicitare un piano di rientro credibile del disavanzo e del debito e non si potrà più eludere il problema delle compatibilità reciproche tra le scelte che si fanno. Servirà per questo una leadership autorevole che sappia riassorbire le pulsioni populiste e indicare al Paese una strada realmente percorribile.

Ma prima ancora dell’autunno, la Presidente del Consiglio è chiamata a risolvere da subito una questione di coerenza interna al suo stesso Governo: l’autonomia differenziata, con le competenze esclusive che conferirebbe alle Regioni sulle grandi infrastrutture di interesse nazionale - energia, telecomunicazioni, trasporti - è incompatibile con la linea che il Governo stesso si è dato per la realizzazione del PNRR e per la messa a terra dei fondi di coesione. Né c’è premierato che tenga, di fronte a 21 Presidenti di Regione dotati ognuno di maggiori poteri rispetto al Presidente del Consiglio su materie vitali per la tenuta unitaria del Paese.

Anche Elly Schlein ha di fronte a sé un bivio di importanza decisiva: può insistere nel posizionare il PD essenzialmente sulla tematica dei diritti civili e della difesa dell’ambiente, limitandosi a trattare le questioni sociali – dai salari alla sanità - come fossero anch’esse semplicemente diritti da rivendicare; o può cambiare passo, per elaborare una strategia di politica economica e di politica industriale che costruisca le compatibilità necessarie a fare della sostenibilità ambientale e sociale fattori di crescita produttiva, di creazione – non distruzione – di posti di lavoro, di superamento dell’assistenzialismo e di valorizzazione delle energie vive del Mezzogiorno e dell’intero Paese. Una politica della responsabilità, non solo dei diritti.

E’ lungo questa seconda strada che PD e socialisti europei possono provare a ricostruire il proprio rapporto con i lavoratori in carne ed ossa e sperare di dare respiro più ampiamente popolare anche alla tematica dei diritti civili. Ed è questa la strada per provare a ricomprendere le ragioni diverse che percorrono le molte anime del Centrosinistra oggi frammentato.

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