Bilancio UE, 4 idee per il Sud
Corriere del Mezzogiorno
La proposta di bilancio pluriennale 2028-34 presentata il 16 luglio scorso dalla Commissione Europea presenta elementi positivi e al tempo stesso diversi punti critici, gli uni e gli altri peraltro abbastanza diversi da quelli messi in luce dal coro di critiche che l’ha accolta. Critiche riguardo all’ammontare di risorse che si vuole stanziare – da Germania e Olanda considerato eccessivo – e critiche riguardo alle novità che si intendono introdurre nella governance dei fondi – giudicata negativamente dal Comitato europeo delle Regioni, come da diversi Presidenti di regione italiani, per la riscoperta del ruolo dei governi nazionali in un sistema multilivello ricalcato su quello di Next Generation EU. Ma procediamo con ordine.
Prima di tutto, vediamo le novità della proposta di Quadro Finanziario Pluriennale 2028-34 (questo il termine che indica il bilancio europeo) rispetto al QFP 2021-27. Cominciando da un elemento di sostanziale continuità, l’incidenza del bilancio sul Pil aggregato dei Paesi componenti l’Unione che è stata portata all’1,26%, ma si riduce all’1,15 al netto dei 149 milioni necessari a servire il debito contratto con NGEU: un incremento di risorse molto (troppo) limitato, che non giustifica davvero le critiche dei “Paesi frugali”. In ogni caso, le risorse a disposizione risultano per circa il 20% superiori a quelle 2021-27.
Due a loro volta le principali discontinuità. La prima è l’aumento molto consistente delle risorse messe a disposizione di politiche industriali europee che rafforzino innovazione, competitività, reti transeuropee, sicurezza e difesa: circa 470 miliardi di euro in sette anni tra European Competitiveness Fund (398 miliardi) e Connecting Europe Facility (circa 72 miliardi). La seconda discontinuità consiste nell’aggregazione in un unico Fondo per la coesione e l’agricoltura delle risorse prima dedicate separatamente a Fondi strutturali e Politica agricola comune, nonché la riduzione di oltre il 20% in termini reali della dotazione complessiva.
Le due discontinuità sono tra loro connesse e risentono del limite principale della proposta della Commissione: rinunciando a finanziare una forte politica industriale per innovazione e competitività con un piano di emissione di debito comune europeo analogo a quello che ha finanziato NGEU, si è scelto di ricavare le risorse per la politica industriale - assolutamente necessaria – contraendo quelle a disposizione di coesione e agricoltura. È questo il principale punto critico del nuovo QFP, che finisce per penalizzare non solo le politiche di coesione ma la stessa politica industriale che, come segnalato dal Rapporto Draghi, avrebbe bisogno di risorse ben più consistenti.
Venendo poi all’aggregazione in un unico Fondo delle risorse per la coesione e di quelle per la politica agricola, va detto che il progetto di bilancio mantiene comunque, all’interno del Fondo, distinte le rispettive dotazioni. Non sembra quindi giustificata la critica secondo la quale sarebbe venuta meno, nel nuovo QFP, la specificità della politica di coesione. Piuttosto, appare positivo – contrariamente all’opinione delle Regioni - lo schema di governance che estende al Fondo per la coesione e l’agricoltura l’esperienza fatta con i PNRR, prevedendo un coordinamento verticale in cui gli Stati membri presentano ognuno un proprio Piano concordato con le Regioni, lo discutono con la Commissione e lo realizzano accompagnati da un monitoraggio stringente – della Commissione sullo Stato membro e di quest’ultimo sulle Regioni - basato su indicatori di performance e non di mera spesa. È uno schema che appare coerente con l’approccio degli Accordi di coesione varati con il Decreto Sud del settembre 2023, il quale a sua volta riprendeva l’esperienza dei Patti per il Sud portati avanti dai Governi Renzi e Gentiloni.
Quattro suggerimenti operativi discendono da queste considerazioni. Il primo è quello di una battaglia politica in sede europea per aumentare le risorse del bilancio comunitario e, in particolare, per una nuova emissione di debito comune che consenta di finanziare in misura consistente le politiche industriali di cui l’economia europea ha bisogno, salvaguardando al tempo stesso le risorse per la coesione. Il secondo suggerimento è quello di vigilare attentamente sui criteri di riparto del Fondo per la coesione e l’agricoltura tra i Paesi membri e, al loro interno, tra le Regioni. Il terzo è di valorizzare la nuova governance, cogliendone le potenzialità positive di sollecitazione delle amministrazioni coinvolte e di accelerazione realizzativa degli investimenti. Il quarto è di disegnare la politica di coesione collegandone gli strumenti a quelli che saranno messi in campo dalla politica industriale comunitaria, in modo che il nostro Mezzogiorno sia protagonista e propulsore dello sviluppo dell’Italia e dell’Unione.
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