Napoli dopo il Covid-19, la grande occasione: disegnare il futuro ripartendo dalle fondamenta
Amedeo Lepore - Il Denaro
La pandemia di Covid-19 ha colpito profondamente il nostro Paese e i suoi effetti saranno molto pesanti per Napoli e il Mezzogiorno, che pure sono riusciti a evitare un collasso della sanità con il contenimento del contagio, grazie alla scelta obbligata del lockdown, a qualche eccellenza del territorio e al senso di responsabilità della maggior parte dei cittadini. L’economia ha tempi diversi da quelli ormai velocissimi del morbo, ma, all’inizio della prima fase di ripresa di un’auspicabile “nuova normalità”, si cominciano a vedere le ferite profonde di un tessuto già fiaccato dalle crisi precedenti e molto debole dal punto di vista strutturale.
Una condizione paradossale, esattamente opposta alle immagini di rara bellezza che hanno riservato la città, il suo paesaggio e il suo ambiente naturale, restituiti da una pausa di riposo forzato a un antico splendore. Il brusco ritorno alla realtà, dopo i mesi di sofferenza dovuti al virus e all’isolamento sociale, non devono riportarci al punto di partenza, come hanno sottolineato molti degli interventi che si sono sviluppati sul tema della “Napoli Nobilissima” da rifondare. La questione è di particolare importanza, specialmente se inserita nel quadro nazionale ed europeo, che rappresenta il riferimento indispensabile per contestualizzare i problemi della città e del suo ruolo all’interno del Mezzogiorno. A maggior ragione dopo il blocco procurato dalla pandemia, Napoli non può rinchiudersi in sé stessa, accentuando una fase di declino e di perdita di scopo, ma deve fare di questa drammatica circostanza la leva per riprendere a ragionare da capitale civile, da metropoli dall’illustre passato, che può provare a ritrovare un influente futuro.
Non sembri questa un’affermazione retorica, perché è proprio in momenti come l’attuale che si determinano discontinuità e svolte. Molto dipende dalla serendipity, molto altro dai cittadini, dalle istituzioni e dalla società. La crisi attanaglia il mondo intero, ma è nel Vecchio Continente e, soprattutto, in Italia che mostra il suo aspetto più pericoloso, rischiando di vanificare le prospettive di progresso sociale, di sviluppo economico e di incremento della competitività. Per questo motivo, la risposta delle istituzioni europee non è stata intempestiva e irresoluta come negli anni scorsi, ma si sta adeguando alla scossa ricevuta con politiche e strumenti di sempre più notevole portata. In questo contesto, che deve accrescere la sua dimensione unitaria e la sua capacità inclusiva, Napoli e il Mezzogiorno sono un fattore chiave per la ricostruzione e la ripresa italiana.
Al Nord va ripristinato l’intero apparato produttivo, senza del quale l’economia nazionale si arresterebbe definitivamente, al Sud, che patirà le conseguenze più pesanti del dopo-coronavirus, vanno indirizzati i nuovi investimenti, la diffusione dell’industria digitale e della green economy, che possono generare innovazioni e valore aggiunto per tutto il Paese. È in questo scenario che Napoli e i suoi cittadini, scrollandosi di dosso l’indolenza e la rassegnazione degli ultimi anni, possono tornare a essere protagonisti. Antonio Genovesi, descrivendo un’altra epidemia, che al tempo della discesa di Carlo VIII cambiò la sua denominazione in “male di Napoli”, sosteneva che “un tal morbo non è più da considerarsi siccome oggetto della sola medicina, ma come uno degl’importantissimi del governo civile”. A parte questa consonanza con i giorni nostri, il richiamo allo stesso scritto di Genovesi vale anche per le cose da fare per l’economia della città, senza la quale il ridisegno urbano, la valorizzazione del patrimonio storico, artistico e culturale, i legami sociali ancora vivi all’epoca del Covid-19, la creatività e il talento di tanti giovani possono perdere il tessuto connettivo e le condizioni di sviluppo reale in grado di alimentarli, rischiando di implodere.
Infatti, non tutte le arti hanno il “medesimo pregio e merito”, dato che, senza le “arti fabbrili”, può accadere che “le creatrici” non abbiano “né vigore alcuno, né perfezione”. Una comunità, una città non possono riscattarsi, né tantomeno crescere, in assenza di un complesso reticolo, in cui l’economia gioca un ruolo fondamentale. Perciò, la distinzione di Genovesi tra l’economia delle “arti miglioratrici” e quella delle “arti primitive” può indurre una riflessione sul futuro di Napoli. Dopo l’impatto della pandemia, nulla resterà come prima, e, come in altre occasioni storiche (la ricordata epidemia del colera del 1884, ma anche la guerra, la liberazione e la ricostruzione), sarà necessario un mutamento epocale della città. Lucio D’Alessandro ha sottolineato che, se l’obiettivo è quello di rimettere in moto il principale centro propulsore del Mezzogiorno, non bisogna affidarsi a progetti di corto respiro.
La ripresa e l’evoluzione di Napoli possono sorgere da un ripensamento di fondo del suo destino e da un rivolgimento civile, economico e sociale. Occorre aprire una discussione inedita e chiamare al confronto le energie migliori, interne ed esterne, che abbiano a cuore gli interessi di questa nobilissima città. Napoli ha necessità di un nuovo paradigma, che possa recuperare le sue radici e il suo ruolo di riferimento per tutto il Paese, ma che innovi del tutto la sua missione, ponendola al centro delle trasformazioni globali in atto. In questi anni, si è coltivata l’illusione, nell’assenza di un’idea di aggregazione e sviluppo, che l’afflusso spontaneo di un turismo incontrollato e la scoperta delle straordinarie bellezze partenopee potesse di per sé, quasi “naturalmente”, determinare una condizione di crescita e benessere. Intanto, si è lasciato campo alla scomparsa di ogni assunzione di responsabilità e di scelta, alla mancanza di una salda guida istituzionale e alla deregolamentazione delle attività urbane. Con l’effetto di una città priva dei più elementari servizi, preda del degrado e incapace di modernizzarsi.
Il cammino da riprendere parte dalla consapevolezza di un grave ritardo, ma anche dalla certezza che le energie sociali ed economiche di Napoli non sono state inerti, ma hanno cercato una via carsica per operare e contribuire alla costruzione di una nuova prospettiva. È venuto il momento che queste forze emergano e riempiano del loro flusso i canali di riorganizzazione e di vita della città. La sfida civile di questa nuova Napoli, che non avrà vita facile e che dovrà fare i conti con i danni ingenti del blocco provocato dal virus, riguarda essenzialmente il progetto di una città progredita, al passo con un mondo in profondo cambiamento e in grado di far interagire il suo capitale umano e la sua capacità di conoscenza con un assetto produttivo integrato, fatto di fabbriche digitali, reti commerciali diversificate, logistica, infrastrutture, mobilità, servizi alla produzione e alla persona.
Una città dotata di una pubblica amministrazione efficiente e flessibile, di un processo organico di riqualificazione e rigenerazione urbana, di un’offerta culturale e turistica avanzata. Si tratta solo di accenni per configurare una visione d’insieme del futuro di Napoli, che potrà essere oggetto di un confronto aperto, ma soprattutto di un nuovo metodo per disegnare i lineamenti di una città, come ha scritto Marta Herling, da riprendere dalle fondamenta.
Seguici sui social