17 dicembre 2020   Articoli

Dalla Cassa del Mezzogiorno al Recovery

Amedeo Lepore - Il Mattino

Amedeo Lepore - Professore ordinario di Storia Economica - Università della Campania Luigi Vanvitelli

Il convegno promosso dall’Università Vanvitelli e dall’Associazione Merita non è stato una semplice celebrazione dei 70 anni della Cassa per il Mezzogiorno, ma un’occasione per riconnettere una riflessione sull’età d’oro della storia repubblicana con la complessità del nostro tempo e con le prospettive del Paese. 

L’istituzione della “Cassa per opere straordinarie di pubblico interesse nell’Italia meridionale” nel 1950 fu un fatto eccezionale, che ha segnato le vicende dell’Italia. Il contesto internazionale, dopo la guerra e gli accordi di Bretton Woods, fornì un impulso energico alle strategie di sviluppo, favorendo le riforme per la modernizzazione dell’agricoltura, delle infrastrutture e dell’industria nel Mezzogiorno. L’anno chiave della svolta fu il 1957, quando, in singolare coincidenza, si avviarono l’opera di industrializzazione del Sud e la formazione della Comunità Economica Europea. 

Pasquale Saraceno, autore del rapporto per la Commissione CEE ai fini del Trattato di Roma, scriveva che “in una Europa comunitaria lo sviluppo dell’industria italiana sarebbe stato più intenso e ciò avrebbe facilitato la localizzazione al Sud di una maggiore quota del capitale industriale che si sarebbe formato”, muovendosi “in una prospettiva di mercato che renda conveniente l’adozione di tecniche più moderne, e renda quindi possibile una produttività del lavoro più alta di quella altrimenti conseguibile entro l’orizzonte del mercato nazionale”. In questo quadro, si realizzò una tripla convergenza: tra l’Europa e gli Stati Uniti, tra l’Italia e i Paesi più avanzati dell’Europa e tra il Nord e il Sud. Di almeno due di questi processi fu protagonista il Mezzogiorno che contribuì, con la grande spinta degli investimenti industriali, al miracolo economico italiano. 

Secondo Gabriele Pescatore, la Cassa rappresentò un’esperienza italiana per lo sviluppo perché fu contemporaneamente un modello di riforma dell’amministrazione pubblica, un esperimento di programmazione e coordinamento della crescita, un organo autonomo e straordinario dello Stato che si faceva ordinario. In questo modo, si inverava l’insegnamento di Nitti e Beneduce per un intervento pubblico in grado di agire con l’efficienza e l’efficacia di un’impresa. 

Con la crisi internazionale degli anni settanta, che rivelava la fine del fordismo, e l’involuzione dell’intervento straordinario, con una torsione politica di natura assistenziale, l’Italia iniziava il suo declino, tornando a un vecchio modello economico. L’intervento straordinario veniva sostituito dalla programmazione negoziata dal basso e dall’incapacità di spendere le risorse finanziarie nazionali ed europee, lasciando il Sud a un ventennio di sprechi e abbandono. 

Dopo la crisi del 2008-2014, seguita da un breve risveglio del Mezzogiorno, gli effetti disastrosi della pandemia hanno colpito maggiormente l’apparato produttivo delle regioni più dotate del Nord, ma il Sud era già debole e avrà maggiori difficoltà a rialzarsi. Perciò è necessaria una profonda innovazione di sistema. L’UE ha smentito chi proclamava la fine del sogno europeo e con il Recovery Fund ha ripreso a marciare nella direzione di una forza di equilibrio e progresso.L’Italia deve avere il coraggio di un progetto unitario per affrontare la “questione nazionale”, come la chiamava Giuseppe Galasso, fondando la sua ripresa e resilienza sui cardini della metamorfosi digitale, della transizione ambientale e della bioeconomia (che va esplicitamente inserita nel Piano). 

I fattori di sviluppo del Mezzogiorno sono costituiti sia dagli investimenti pubblici in infrastrutture, sanità e ricerca, sia dagli investimenti privati nell’industria, con l’obiettivo di potenziare l’occupazione e la produttività. Decisivo è il riequilibrio dell’assetto produttivo del Paese. Lo strumento di questa strategia non può essere una nuova Cassa per il Mezzogiorno, ma la capacità di semplificare, unificare e coordinare i troppi enti che si occupano di Sud e coesione. 

Al tempo stesso, va ripresa la parte migliore della lezione della Cassa, combattendo un rivendicazionismo che ha fatto male alle regioni meridionali, e accettando la sfida di un Mezzogiorno sempre più integrato nelle politiche nazionali e comunitarie. Solo così è possibile scongiurare il “paradosso dell’abbondanza” che, anche se le risorse per il Sud fossero realmente aggiuntive e raggiungessero almeno il 34% del Next Generation EU come è necessario, richiede di puntare soprattutto sulla qualità della progettazione e sulla capacità di spesa dei fondi europei. Al governo la responsabilità delle scelte e della loro attuazione, al Paese nel suo insieme quella di non perdere questa formidabile occasione.

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