Sud, polo energetico d'Europa
Giuseppe Coco - Corriere del Mezzogiorno
Nei mesi scorsi una serie di osservatori e istituzioni di ricerca hanno rilanciato l’idea che il Mezzogiorno possa diventare un hub energetico per l’Europa. Se contassimo le volte in cui qualcuno ha lanciato l’idea che il Mezzogiorno potrebbe riguadagnare una centralità economica attraverso i rapporti col nord africa, e il mediterraneo in generale, probabilmente avremmo un’idea più precisa dell’infinito.
Tuttavia questa prospettiva è nelle circostanze attuali tutt’altro che una fantasia. La guerra in corso infatti pone l’Europa di fronte a un bivio e dimostra la miopia e i pericoli di una strategia energetica sbilanciata sulla Russia.
Le esigenze della sicurezza energetica sono state notoriamente sottostimate negli anni scorsi a favore di una logica di mercato. Purtroppo la storia si incarica talvolta di ricordarci che le relazioni tra Stati (ed in particolare con Stati autoritari) non possono essere ricondotte a semplici logiche di mercato e che quindi, pur contemperata dalla esigenza della creazione del mercato unico dell’energia, la posizione europea andava messa in sicurezza con più attenzione.
Per la verità non tutti i governi italiani hanno tenuto un atteggiamento irresponsabile su questa questione. Se infatti quest’anno abbiamo acceso i riscaldamenti lo dobbiamo a chi, pur a fronte della protesta strumentalizzata da vari politici in Puglia, ha tenuto duro sulla costruzione del TAP che ha portato dall’Azerbaijan 13 dei 63 miliardi di metri cubi di consumo totale di gas naturale.
La reazione del sistema Italia alla crisi russa nel complesso è stata abbastanza confortante. Abbiamo aumentato le forniture dall’Algeria e abbiamo una buona capacità di incremento ulteriore di trasporto, che però può essere attivata solo con investimenti nei campi di produzione algerini (già concordati). I rigassificatori di Ravenna e Piombino marciano abbastanza spediti, il secondo salvo il prevalere improbabile delle proteste entrerebbe in funzione prima dell’inverno prossimo. L’aspetto ancora problematico è la velocità di autorizzazione e installazione di capacità rinnovabile.
L’anno scorso le installazioni di fotovoltaico sono aumentate considerevolmente, ma con due aspetti preoccupanti. Si tratta quasi interamente di capacità installata da privati su abitazioni/piccole imprese, quindi senza problemi di autorizzazioni, mentre per un decollo vero abbiamo bisogno anche di grandi impianti. Inoltre c’è stato un crollo dell’idroelettrico causa siccità.
In questo quadro il Mezzogiorno gioca un ruolo cruciale. I vantaggi geografici nelle rinnovabili sono notevoli (vento e sole sono risorse non solo per il turismo). I gasdotti attivati vengono da sud e in prospettiva potrebbero essere utili non solo al nostro paese ma a parte d’Europa. Nel lungo periodo si potrebbe immaginare gasdotti adatti al trasporto di idrogeno (alcuni lo sono già), se le tecnologie di produzione da rinnovabili dovessero decollare.
Ma tutte queste possibilità incontrano dei limiti e necessitano di strategie esplicite per concretizzarsi (questo l’approccio del recente Convegno di MERITA sul tema). Nel breve periodo la sostituzione del gas russo con gas nord-africano necessita di una minore incertezza sulle prospettive del gas naturale in Europa. La strategia di decarbonizzazione europea fissa obiettivi molto sfidanti e per alcuni non totalmente credibili. Questo genera aspettative straordinariamente incerte sul consumo di gas naturale al 2030 (tra il 50 e l’85% dei consumi attuali), a fronte delle quali investimenti consistenti diventano insostenibili per le imprese.
Dobbiamo essere consci che questo potrà provocare razionamenti e picchi di prezzo. Una maggiore certezza è necessaria per fare investimenti consistenti sul gas del mediterraneo.
L’installazione di rinnovabili al sud incontra dei limiti naturali. Quasi tutta la capacità esistente oggi è già collocata al sud, una concentrazione maggiore implica grossi investimenti infrastrutturali. Le resistenze locali cominciano ad essere sostanziali. La sola installazione e manutenzione peraltro non giustifica ottimismo sul rilancio del Mezzogiorno.
Solo se, a differenza del passato, saremo protagonisti nell’industria a monte gli effetti di rilancio del Mezzogiorno saranno significativi. Su questo però stiamo assistendo alle novità più importanti, con la mega fabbrica siciliana di pannelli solari di ENEL e quella di pale eoliche di Vestas a Taranto. Proprio la fabbrica siciliana, la più grande del continente, rende davvero strana l’esternazione di Schifani, che annuncia il blocco delle autorizzazioni di pannelli in Sicilia.
Si tratta probabilmente di un tentativo dei tanti cui assisteremo per ottenere compensazioni non dovute per una impresa collettiva imprescindibile. L’anno scorso ad esempio il Consiglio Regionale pugliese votò una Legge per ottenere il 3% dei ricavi del gas di passaggio nel TAP. Se questa è la logica (medioevale), allora scordiamoci ogni prospettiva sana di sviluppo, transizione ecologica, ma anche più banalmente di tenuta del paese.
La condizione più importante però è politica piuttosto che economica. Nessun investimento nel bacino del mediterraneo è possibile senza una stabilità politica dei nostri potenziali partner. Questo significa una cooperazione che vada al di là della dimensione energetica, che coinvolga tutta l’Unione Europea, con la regia di tutti i paesi euromediterranei.
Si tratta di uno sforzo che deve diventare una delle pochissime priorità diplomatiche del nostro paese e richiede la nostra centralità nei processi decisionali in Europa. E’ arrivato il momento in cui bisognerà decidere se vale la pena rinunciare a questi obiettivi strategici per mantenere le rendite dei balneari e per le battaglie di bandiera di parte, peraltro totalmente inutili, come la mancata ratifica del MES.
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