Sviluppo, ripartire dagli asili
Giuseppe Coco - Corriere del Mezzogiorno
Un aspetto forte del Rapporto SVIMEZ di quest’anno è il confronto territoriale sui servizi essenziali. Con una formula particolarmente ispirata del Direttore Svimez, Luca Bianchi, il gap tra servizi sanitari, educativi e di mobilità (ma anche di altri servizi pubblici) tra nord e sud è stato definito opportunamente ‘divario di cittadinanza’. Che esista un divario territoriale nei servizi è francamente fuori di dubbio, e quindi forse proprio per questo sarebbe forse più opportuno dedicarsi alla discussione su quali siano le cause di questi divari.
Oltre alla annosa discussione sulla distribuzione territoriale complessiva della spesa pubblica, che per molti motivi non si è rivelata fondatissima, il Rapporto discute di molti divari in campi specifici. Due sono molto interessanti perché impattano probabilmente molto sulla crescita e però svelano evidentemente il problema degli argomenti proposti, la spesa per istruzione pre-scolare e per la sanità.
Oggi discuterò la prima. Affidato ai Comuni che determinano gli stanziamenti autonomamente, questo comparto di istruzione ha mostrato una divergenza spettacolare tra nord e centro-sud. Gli asili, ricordiamolo, sono importanti per rendere possibile un aumento dell’occupazione femminile, ma anche, e nel Mezzogiorno soprattutto, per far arrivare i ragazzi provenienti da famiglie svantaggiate in condizioni di parità alla scuola elementare. Sono quindi essenziali per la scolarizzazione, l’obbligo scolastico e infine per la qualità della forza lavoro.
Oggi gli stanziamenti su questa voce avvengono su base storica, per cui chi ha aperto gli asili in passato riceve ancora stanziamenti (sarebbe paradossale chiudessero gli asili a Reggio Emilia), mentre chi non ne ha programmati in passato non ne riceve. Invece di indagare però cosa ha portato a una situazione in cui il comune di Reggio Calabria ha spesa zero su asili nido, ci si accontenta di stigmatizzare la situazione, sottintendendo che sarebbe determinata da errati meccanismi allocativi dello Stato. Non si indaga se i Comuni meridionali abbiano preferito investire in altri ‘servizi’, forse anche pressati dalla popolazione. Un dubbio potrebbe venire se consideriamo che, nonostante la contrazione dell’ultimo ventennio e le minori tasse locali, gli enti territoriali del sud hanno ancora più occupati di quelli del centro-nord (rapporto Bankitalia sulle economie Regionali). Azzardo una ipotesi: è possibile che i comuni del sud abbiano deciso che c’era un assoluto bisogno di decine ausiliari della sosta (che infatti non osserviamo nelle regioni settentrionali) e vigili urbani al posto delle maestre d’asilo? E’ importante capirlo anche perché è possibile che questo sia il risultato di preferenze miopi delle stesse popolazioni, che all’interno di strutture famigliari tradizionali, magari con scarsa scolarizzazione e nonni giovani sempre disponibili, non vedono vantaggi nell’istruzione pre-scolare. Questo potrebbe avere dei riflessi sulle azioni che si devo mettere in campo se si adegua l’offerta di asili al sud. E’ anche importante per capire se il problema è il livello di spesa pubblica al sud o, come sospetto, soprattutto la sua composizione e qualità
Questo esempio mette in luce quanto fosse sbagliato ed ideologico quel modello che pretendeva di generare lo sviluppo con una dinamica bottom-up. Senza la presenza di circoli viziosi tra condizioni di sottosviluppo e preferenze della popolazione è infatti impossibile spiegare il sottosviluppo. L’idea che l’autonomia sarebbe stata l’occasione per la crescita della società e dell’economia meridionale si è rivelata fallimentare, ma curiosamente coloro che ieri propugnavano questo dogma, sono attivissimi in questo tipo di comparazione e rivendicazione (non mi riferisco a SVIMEZ, che è sempre stata contraria).
Un intervento straordinario sull’istruzione pre-scolare al sud è necessario, ed è una misura che genera effetti enormi sulle capacità. Tuttavia bisogna capire bene perché siamo arrivati a questo punto, per disegnare bene le misure, attribuirne la responsabilità a chi ha un interesse reale all’istruzione dei bambini svantaggiati in particolare, e soprattutto evitare di aprire asili vuoti.
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