Il programma (elettorale) del Terzo settore
Carlo Borgomeo - Corriere del Mezzogiorno
Il documento predisposto da numerose e qualificate organizzazioni di Terzo settore in vista delle prossime elezioni amministrative costituisce, a mio giudizio, un’importante opportunità per rafforzare e qualificare il dibattito sul futuro della città. Come è per certi versi inevitabile, quando si parla delle prossime elezioni amministrative, ci si appassiona alla definizione dei possibili schieramenti e alla individuazione dei possibili candidati sindaco.
ll tutto viene accompagnato da riflessioni sulla necessità di partire dai programmi: ma di programmi, nel senso proprio del termine, non se ne vedono. Parlare di sviluppo e di lotta alla disoccupazione non è definire un programma, ma ribadire obiettivi generali inutilmente da tutti condivisi. Quel documento fa esattamente il contrario; esclude qualsiasi sostegno preventivo a candidati, a maggioranze o a schieramenti. E declina un programma in sette punti con delle indicazioni abbastanza nette sulle quali si può aprire un confronto non generico, ma concreto e puntuale.
Ma del documento e di questa iniziativa delle organizzazioni di Terzo settore vorrei mettere in luce tre aspetti che mi paiono di grande rilievo. Il primo è il richiamo, apparentemente banale, ma invece importantissimo, alla dimensione amministrativa: fare il sindaco significa, appunto, amministrare, non fare solo il rappresentante della città: dedicare tempo ed energie alla gestione , al funzionamento della macchina comunale, alla dotazione ed alla fruibilità dei servizi, anche minuti, alla valorizzazione dell’immenso patrimonio comunale. Il secondo è il riferimento alla responsabilità dei napoletani.
Per il futuro di Napoli è necessario che i cittadini, tutti, avvertano di essere in gioco; di percepire che il futuro della città è anche affidato ai loro comportamenti, al loro sentirsi parte di una comunità. Ed anche qui la politica ha un grande ruolo: provare a costruire una prospettiva, avere comportamenti coerenti e, soprattutto, non cercare il consenso dando sempre la colpa agli altri. Cercare consenso alimentando il vittimismo e assumendo sempre che le responsabilità sono altrove, alla fine non consente il governo di una comunità.
Ed infine la questione più rilevante dal punto di vista politico. Il terzo settore pone una questione molto chiara: non si limita a fare una piattaforma per i terzo settore e per il sociale ma si spinge a tentare un programma organico per la città. Pone alle forze politiche, alle istituzioni ed agli altri soggetti sociali una opzione: occuparsi di sociale, guardare alle periferie, combattere la povertà, mettere al centro il disagio giovanile, non è solo un doveroso impegno per combattere le diseguaglianze. E’ costruire le premesse indispensabili per lo sviluppo.
Gli economisti lo chiamano capitale sociale, e ci dicono sempre più numerosi che senza di esso non c’è sviluppo. Ma, d’altra parte, ce ne accorgiamo tutti i giorni: se non superiamo le situazioni di degrado, se non costruiamo relazioni sociali positive, se non mettiamo al centro dell’iniziativa la lotta alle diseguaglianze è inutile parlare di sviluppo: lo facciamo da troppi anni inutilmente, con sempre minore convinzione e con sempre maggiore frustrazione.
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