Le tre regole stupide da cancellare nel Patto di stabilità
Franco Bassanini e Claudio De Vincenti - Il Sole 24 Ore
Dal negoziato sulla sua nuova governance economica dipenderà la capacità dell’Unione europea di fronteggiare le sfide globali che le stanno di fronte e di consolidare i passi avanti fatti con Next Generation EU nel sostegno a politiche di sviluppo comuni. Come sottolineato qui da Buti e Messori, è essenziale che l’Italia sappia cogliere l’occasione fornita da una proposta (quella della Commissione) che supera finalmente molte delle “regole stupide” del Patto che in passato ha penalizzato il nostro come altri Paesi a elevato debito pubblico. Purtroppo, alcuni commentatori ancora rimpiangono quelle regole; o, all’opposto, si illudono che, rinviando la riforma, si possano strappare condizioni migliori.
Tre erano i difetti principali di quelle regole, ad un tempo troppo rigide e (anche perciò) spesso inefficaci: obiettivi e vincoli annuali, anziché di medio termine; effetti prociclici; disincentivo degli investimenti pubblici pluriennali per la crescita (che sono determinanti per la riduzione del rapporto debito/PIL dal lato del denominatore). Per superare questi difetti, la Commissione propone, in sintesi, due innovazioni.
- Per ogni Stato Membro, la Commissione preparerà un “sentiero di riferimento” per l’andamento della spesa pubblica netta aggregata (dunque al netto di interessi, entrate “discrezionali” e altre variabili fuori dal controllo del governo). Esso coprirà un periodo di 4 anni (o 7 in presenza di impegni di riforma e investimenti strutturali) e dovrà assicurare che: il rapporto debito/Pil sia collocato su un “plausibile” sentiero di riduzione; il deficit sia portato e mantenuto sotto il 3% del Pil; la spesa netta cresca, nella media dei 4 anni, meno della crescita di medio termine del Pil.
- Ogni Stato Membro predisporrà un piano strutturale di bilancio che contenga: a) una traiettoria della spesa per i successivi 4 anni coerente con quella indicata dalla Commissione, o che indichi le ragioni verificabili dell’eventuale scostamento; b) le misure strutturali necessarie per realizzarla e per mantenerla sotto controllo nel decennio successivo. Il piano, negoziato con la Commissione, sarà alla fine approvato dal Consiglio. Esso dovrà assicurare che il rapporto debito/Pil sia collocato su un sentiero di riduzione entro la fine del quadriennio e che il rapporto deficit/Pil sia portato rapidamente sotto il 3% e vi resti nel medio periodo.
Al centro, il dialogo tra Stato Membro e Commissione. Si tratta di un’intelligente combinazione di regole (i valori di riferimento per deficit e debito) e discrezionalità (i percorsi di rientro concordati Paese per Paese). Il sentiero indicato dalla Commissione non è del tutto vincolante e non scatta automaticamente la procedura di infrazione quando si supera la soglia del 3%. Il rafforzamento del ruolo di coordinamento della Commissione è la naturale conseguenza della flessibilità necessaria a concordare percorsi di aggiustamento su misura dei diversi Paesi, guidando un processo di effettiva convergenza macroeconomica tra di essi e favorendo politiche di sostegno di investimenti e crescita.
Certamente la proposta è migliorabile, per esempio prevedendo una golden rule per gli investimenti per le transizioni verde e digitale e per la difesa (su cui resta però il veto dei Paesi “frugali”). Ma, anche così come è, è comunque molto meglio del ritorno alle vecchie regole. All’Italia conviene dunque operare per arrivare a un accordo su queste basi entro la fine 2023, in modo che il nuovo quadro di governance sostituisca il vecchio Patto già dal 2024, con una fase transitoria in vista della sua piena applicazione, tecnicamente possibile solo dal 2025. L’alternativa di un prolungamento della sospensione delle vecchie regole, di per sé difficile, non gioverebbe ad un Paese ad alto debito come l’Italia, che ha bisogno della credibilità finanziaria che deriva da un sistema di governance europea coerente, serio senza essere rigorista e flessibile senza essere lassista.
Il Governo dovrebbe dunque oggi – ci pare – lavorare per costruire una larga alleanza a sostegno della proposta della Commissione, eventualmente anche con un’apertura alla richiesta tedesca di prevedere una soglia minima di riduzione del rapporto debito/Pil (nei termini, però, di un ragionevole obiettivo di riduzione entro fine quadriennio); e nel contempo per rafforzare (anche con scelte di bilancio prudenti ed equilibrate) quell’affidabilità del nostro Paese e quella fiducia reciproca tra gli Stati che è vitale per l’Unione: sapendo che non gioverebbe, per vincere le sfide che la UE deve affrontare, né un assetto di governance economica debole, né un quadro di regole rigide che penalizzano investimenti e crescita.
Se così sarà, non ci sarà il rischio di un’Italia debole di fronte a istituzioni europee rafforzate. Al contrario, in un’Europa alla ricerca di nuovi equilibri politici dopo l’aggressione russa all’Ucraina, il ruolo del nostro Paese sarà decisivo e rispettato. Soprattutto se tutte le nostre principali forze politiche sapranno contribuire, quale che sia l’esito delle prossime elezioni, alla formazione di una larga maggioranza politica europea (“Ursula” allargata) basata su una convinta convergenza sui valori fondanti dell’Unione.
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