Scommettere sull'innovazione
Giuseppe Coco - Corriere del Mezzogiorno
Nei giorni scorsi l’assessore alle attività produttive della Regione Puglia, Delli Noci, ha annunciato le modalità di massima con cui sarà gestita la partita dei finanziamenti alle imprese innovative in Puglia.
Va preliminarmente detto che questo tipo di finanza è diventato essenziale negli ultimi anni e la sua presenza caratterizza tutte le economie evolute. La capacità di crescita dipende molto dal tasso di innovazione espresso dalle aziende.
Ma le aziende innovative, in tutti i settori, sono completamente diverse da quelle tradizionali e il loro finanziamento presenta problemi specifici. Le fasi iniziali dell’azienda sono caratterizzate dallo sviluppo di un prodotto o di una tecnica di produzione, che non genera ricavi per lunghi periodi, e comunque le imprese sono caratterizzate da una rischiosità enorme.
Una percentuale importante di queste imprese fallisce, ma quelle che decollano potrebbero generare rendimenti enormi. Per queste ragioni la finanza bancaria e lo stesso strumento del debito non sono in adatti al finanziamento di queste imprese. Prima di tutto perché le istruttorie sono straordinariamente più complesse (e costose) di quelle bancarie; per loro natura le imprese innovative sono più difficili da capire e necessitano di conoscenze settoriali e finanziarie sofisticate per valutarne la praticabilità.
Inoltre data la rischiosità solo la partecipazione azionaria consente di recuperare con un investimento di successo, un numero notevole di prevedibili fallimenti.
La Puglia è relativamente in ritardo nella istituzione di uno strumento specifico di questo genere. La Regione emetterà un bando, pare a fine giugno, per l’assegnazione di 60 milioni di fondi provenienti dalla coesione a intermediari specializzati che dovranno poi utilizzare anche risorse private.
Si tratta di una strada seguita tempo fa anche dal Legislatore nazionale ma poi abbandonata. Nel lontano 2005 l’allora Ministro Lucio Stanca costituì un fondo denominato High Tech (HT) per imprese innovative del Mezzogiorno con una dotazione di 80 milioni. Tra cambi di governo, emissione del bando, gestione delle procedure concorsuali e contenzioso, i fondi furono assegnati, frazionati tra 4 Società di Gestione del Risparmio, solo nel 2009.
Di fatto generarono investimenti nel 2012 a 7 anni dalla felice intuizione di Stanca. Non ci sono studi sugli effetti di quei finanziamenti, ma si può star certi che se avessero creato anche una sola start up importante, lo avremmo saputo. Il contributo di quella misura forse è stato quello di creare l’humus per una intermediazione sofisticata nel Mezzogiorno.
Quando, dopo lungo oblio, nel 2017 il Ministro De Vincenti (di cui chi scrive era Capo di Segreteria Tecnica) istituì un nuovo fondo di 150 milioni per finanziare direttamente le imprese del Mezzogiorno con private equity, le modalità di affidamento dei fondi furono totalmente diverse.
Si utilizzò, cosa mai fatta prima, la possibilità di affidare direttamente a una società pubblica (INVITALIA in quel caso) e creare un team di investitori dedicato con il cd. Fondo Imprese Sud. Inizialmente il fondo doveva entrare nel capitale di imprese dinamiche con l’obiettivo di farle crescere nella convinzione che un grosso limite della struttura imprenditoriale del Mezzogiorno è la dimensione di impresa.
Successivamente il fondo fu trasferito nell’ambito del contenitore molto più grande del Fondo Nazionale Innovazione, per il quale furono replicate le modalità di affidamento su scala molto maggiore, e la missione fu modificata verso il finanziamento delle imprese innovative.
Ci sono due buone notizie per la Puglia. La prima è che quel fondo funziona, ha finanziato 56 imprese innovative (anche indirettamente tramite acceleratori). La seconda è che molte, anche tra le più innovative e interessanti, sono pugliesi. Esiste quindi un potenziale che avrebbe faticato a esprimersi senza quella misura nazionale.
L’esperienza esistente a mio parere fornisce due indicazioni importanti. La prima è che la strada del bando potrebbe però essere lenta nel dispiegare effetti.
Tuttavia va detto che la costituzione di un apposito fondo all’interno di Sviluppo Puglia poteva essere altrettanto problematica, perché mancano le competenze necessarie, non sarebbe stato facile reclutarle e 60 milioni non sono molti. La struttura e le capacità necessarie per gestire questi fondi sono importanti e rare.
Da ciò discende anche la seconda osservazione: non ha senso frazionare troppo gli affidamenti e affidare fondi a intermediari troppo piccoli, i costi di struttura e di istruttoria peserebbero troppo sugli investimenti. L’altro pericolo da evitare è una deviazione nell’allocazione dei fondi da criteri di profittabilità attesa.
Attribuire finalità addizionali o confuse a questi fondi può solo contribuire a un loro uso discrezionale, probabilmente deleterio.
Si tratta di strumenti finanziari che si prestano moltissimo a un uso distorto e disinvolto, si quindi deve vigilare sull’uso di fondi aggiuntivi privati e sulle salvaguardie contro i conflitti di interesse. Ad ogni strumento le finalità appropriate.
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