10 luglio 2024   Articoli

Il falso mito della rinascita

Giuseppe Coco - Corriere del Mezzogiorno

Le fonti statistiche talvolta sembrano stupefacenti, ma a ben guardare alcuni numeri non sono così sorprendenti, e dovrebbero essere commentati con maggiore saggezza. Invece i buoni dati sul 2023 vengono usati da una parte della stampa addirittura per dichiarare desueta la questione meridionale. 

Ricordiamo che, nonostante alcuni anni di crescita poco superiore alla (buona) media nazionale, il PIL pro-capite del Mezzogiorno oscilla ancora tra il 56 e 57 per cento della triste media del resto del paese, e ci sono buoni motivi per pensare che non c’è stato nessun cambio di paradigma negli ultimi anni. Ma procediamo con ordine.

Poche settimane fa Svimez ha svelato con le sue anticipazioni che il PIL pro-capite del Mezzogiorno cresce nel 2024 più della media del paese (1,3 contro circa 1 del Nord e 0,4 del Centro in grave sofferenza).

Questi dati sono stati confermati pochi giorni dopo in una maniera sorprendentemente coincidente da ISTAT. Banca d’Italia, invece col suo indicatore anticipatore ITER, aveva previsioni largamente più pessimistiche. Non è chiaro a cosa sia dovuta questa discrasia, ma giova ricordare che le statistiche territoriali sono quanto di più aleatorio esista, soprattutto se prodotte da un giocatore in campo. 

Il caso dei Conti Pubblici Territoriali che producevano statistiche sulla distribuzione della spesa pubblica che divergevano sistematicamente in una direzione precisa da quelle amministrative della Ragioneria di Stato e quelle dell’ISTAT in maniera inspiegabile, è certamente il più clamoroso. 

Ma anche ISTAT, certamente neutrale, rivede spessissimo le statistiche territoriali, anche a distanza di due anni. La prima lezione è quindi quella della cautela. Ma anche quella della necessità di investire sulle statistiche territoriali, per conoscere con più certezza come stanno veramente le cose, ed evitare l’uso propagandistico dei dati.

Ma la cosa che più sorprende è l’interpretazione dei dati stessi. Che siamo nel mezzo di un rinascimento meridionale è francamente assurdo leggerlo nei dati presentati. Il Mezzogiorno perde meno del nord nella crisi COVID (perché il settore pubblico non è impattato), ma rimbalza di più perché la nostra ripresa è quasi tutta dovuta alla spesa pubblica. L’occupazione ha una performance strepitosa, cresce il doppio del PIL pro capite (2,6%), il che implica che la produttività dei nuovi lavoratori è circa la metà di quelli esistenti. 

Un ulteriore calo di produttività, la nostra, già bassissima per standard europei. E da dove viene questo calo di produttività? Dalla composizione della crescita. Cala l’industria e l’agricoltura, soprattutto in Puglia (-8,7), la grande regione con la economia più sana e meno dipendente dalla spesa pubblica. Crescono fortemente le costruzioni e un po' meno i servizi (tutto turismo). 

Come mai? Superbonus o investimenti da PNRR? Ce lo dirà il tempo, ma ricordiamoci che i nuovi dati del superbonus ci dicono che la misura ha continuato a ‘sanguinare’ risorse fino a fine 2023 per un totale di 170 miliardi (compreso bonus facciate), ovvero 8% del PIL 2022. 

Anche se sappiamo per certo che essa ha distribuito pro-capite più risorse al nord dove il patrimonio immobiliare vale molto di più (è certamente la misura più regressiva degli ultimi 50 anni, dopo forse l’abolizione dell’ICI), l’impatto percentuale potrebbe essere stato maggiore al sud. 

Questo ci porta alla fonte della crescita e del vantaggio sul nord. Contrariamente a quanto sostengono molti, non è vero che il Mezzogiorno non cresca mai più del centro-nord. Per quanto raramente, si possono distinguere facilmente i periodi della storia recente in cui cresciamo un po' di più, sono i momenti seguenti una crescita della spesa pubblica. 

La spesa pubblica infatti, su qualunque oggetto, ha un impatto differenziale al sud, sul cui PIL pesa il doppio. Si tratta di un effetto meccanico ed è per lo stesso motivo che, quando si chiudono i rubinetti, la crescita relativa tra aree territoriali cambia segno. 

Se questo è vero e se nell’economia del Mezzogiorno in realtà è cambiato poco come la composizione settoriale e la produttività lascia pensare, non siamo alle soglie del decollo. 

Ma all’inizio della inevitabile fase di contrazione del nostro bilancio pubblico, pena una crisi finanziaria peggiore di quella del 2010-11. E tutti sappiamo in che condizioni quella crisi lasciò il Mezzogiorno; ma nessuno collega la allegra fase ‘espansiva’ del bilancio in cui spendiamo anche sulle poste più improduttive, con quella recessiva. 

Farei notare infine che il ‘sorpasso’ col nord avviene in un contesto di crollo dell’industria settentrionale (ma anche di quella lucana ad esempio), trascinata a fondo da quella tedesca. Non vedo cosa ci sia da festeggiare, salvo che si suoni nell’orchestra del Titanic. 

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Economia

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